La società datrice di lavoro licenzia una dipendente con accuse che vengono smentite nel corso del giudizio: il Tribunale di Bologna dichiara illegittimo il licenziamento e ordina la reintegrazione della lavoratrice nel suo posto di lavoro. Un caso seguito dall’avvocato Bruno Laudi.
Una dipendente di una casa di riposo con funzioni di O.S. veniva licenziata per giusta causa con l’accusa di aver utilizzato nei confronti di una paziente ricoverata nella struttura toni offensivi ed insulti volgari, arrivando addirittura a percuoterla con forza, arrecandole evidenti ecchimosi sulla mano sinistra (così la contestazione disciplinare).
La lavoratrice impugnava il licenziamento respingendo le accuse in quanto infondate ed evidenziando che la paziente che l’aveva accusata di maltrattamenti utilizzava, quando si rivolgeva a lei, toni offensive e dispregiativi in quanto lavoratrice straniera.
Nel corso del giudizio della prima fase è stata svolta l’istruttoria, sono stati sentiti i testi di entrambe le parti e il quadro fattuale emerso non corrispondeva alle accuse mosse nei confronti della lavoratrice.
In data 26.8.2019 Il Giudice accoglieva il ricorso con la seguente motivazione: “Incombeva sul datore di lavoro, ai sensi della legge n.604 del 1966, fornire la prova dei fatti contestati. Orbene, l’istruttoria orale non ha fornito alcuna prova di ciò ed ha anzi provato che la ricorrente è stata vittima di atteggiamenti denigratori e francamente razzisti da parte della paziente”.
Veniva proposta opposizione dalla società convenuta, senza fornire ulteriori elementi di prova, ma il datore di lavoro si limitava a contestare le valutazioni istruttorie sulla base delle quali era stata accolto il ricorso.
Il giudice dell’opposizione respingeva il ricorso in opposizione per le seguenti ragioni.
“Ai sensi dell’art. 5 l. 604/1966, incombe sul datore di lavoro l’onere di provare l’esistenza della giusta causa di recesso. Tale disposizione è stata interpretata dalla giurisprudenza di legittimità in modo rigoroso nel senso di porre “inderogabilmente a carico del datore di lavoro l’onere di provare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo, sicché il giudice non può avvalersi del criterio empirico della vicinanza alla fonte di prova, il cui uso è consentito solo quando sia necessario dirimere un’eventuale sovrapposizione tra fatti costitutivi e fatti estintivi, impeditivi o modificativi, oppure quando, assolto l’onere probatorio dalla parte che ne sia onerata, sia l’altra a dover dimostrare, per prossimità alla suddetta fonte, fatti idonei ad inficiare la portata di quelli dimostrati dalla controparte (Cass. lav. sent. n. 7830/2018).”
Anche per il Giudice dell’opposizione, quindi, il datore di lavoro non aveva rispettato il principio del rispetto dell’onere probatorio anzi: “dall’esauriente istruttoria testimoniale svolta nella fase sommaria è emerso che la lavoratrice, odierna opposta, è stata oggetto di atteggiamenti e espressioni verbali provocatori e denigratori, al limite della discriminazione, da parte della paziente (…) (cfr. teste (…): “Non è emerso, invece, che la lavoratrice abbia assunto toni offensivi e neppure insulti volgari nei confronti della paziente (…); né è emerso che la lavoratrice l’abbia percossa procurandole ecchimosi.”
Il ricorso veniva dunque respinto perché il datore di lavoro non aveva fornito la prova della sussistenza dei fatti e comportamenti posti a fondamento del licenziamento e ordinava la reintegrazione della lavoratrice nel suo posto di lavoro.
ALLEGATO
Sentenza 255/2020 (PDF)