ANNI DIECI:  PROCESSO  ALLA  FIAT

Alberto Piccinini[1]

Premetto che questo articolo ha subito, dal dicembre 2012, continui aggiornamenti: d’altra parte il grande  Borges negli anni Trenta disse che il concetto di un lavoro definitivo appartiene alla teologia o alla stanchezza.

Se un giorno qualcuno scriverà la Storia degli ultimi anni di FIAT in Italia (“ultimi” nel senso di “più recenti”, vogliamo sperare) negli Anni Dieci del XXI Secolo, dovrà inevitabilmente dedicare un capitolo al contenzioso giudiziario che ha visto contrapposti la FIAT alla FIOM. Contenzioso, come vedremo, ampio ed articolato,  non certo perché la FIOM abbia scelto di privilegiare la “lotta giudiziaria” rispetto a quella sindacale, ma solo perché la strategia del più grosso gruppo industriale italiano ha perseguito l’estromissione dalle proprie fabbriche – prima fisica e poi giuridica – dei rappresentanti sindacali, e persino degli iscritti, appartenenti a quell’organizzazione. Le decine di cause promosse da FIOM, quindi, altro non sono che legittima difesa a fronte di un attacco senza precedenti, programmato, vien da pensare, con  scientifica determinazione.

Quasi tutti i ricorsi promossi dalle FIOM territoriali hanno avuto la forma della denuncia per comportamento antisindacale, e quindi sono stati promossi con ricorso ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, la cui prima fase (sommaria) si è conclusa con decreto del Tribunale, a cui ha fatto seguito  la fase di merito, sempre davanti allo stesso Tribunale  conclusasi con sentenza, seguita dal giudizio di secondo grado presso la Corte d’Appello territorialmente competente, la cui sentenza può essere impugnata in Cassazione.Assumono invece la forma della ordinanza i provvedimenti emessi all’esito di un procedimento antidiscriminatorio e quelli che sollevano una questione di costituzionalità con trasmissione degli atti  alla Corte Costituzionale.

Prima di dar conto delle diverse tematiche attraverso le quali tale attacco si è sviluppato, occorrerà fare un rapido cenno ad un diverso contenzioso che ha visto protagonisti, nell’anno 2011,  da un lato sempre la FIOM e dall’altro società rappresentative di FEDERMECCANICA, avente ad oggetto l’applicabilità del CCNL unitario del 2008 o il CCNL “separato” del 2009. Esso ha fatto emergere temi importanti ed  irrisolti del diritto sindacale, quali la rappresentanza e la rappresentatività delle organizzazioni sindacali “orfane” della mancata attuazione dell’art. 39 della Costituzione e – conseguentemente – l’ambito di applicazione dei contratti collettivi post-corporativi. I diversi giudici pronunciatisi, sia accogliendo che respingendo i ricorsi FIOM, hanno sostanzialmente tutti negato la iniziale pretesa datoriale di dare applicazione esclusiva (e sostitutiva) del CCNL separato: è stata infatti ribadita unanimemente la lettura “tradizionale” dei contratti collettivi come contratti di diritto privato, i quali teoricamente potrebbero convivere nell’ambito della stessa azienda disciplinando ognuno i rapporti dei propri iscritti, con ogni problema che ne consegue relativo ai diversi termini di scadenza di ciascun CCNL e alla ultrattività di quelli non rinnovati.[2]La confusione che ne deriva, anche rispetto alla sorte dei non iscritti, rende  di stringente attualità l’esigenza di un definitivo chiarimento (alla quale ha dato solo parziale risposta l’Accordo Interconfederale del 28  giugno 2011). Ma questo tema, già oggetto di numerosi articoli di dottrina, merita una trattazione a parte.

Licenziamento dei delegati sindacali.

Tornando alla FIAT, gli “storici” non potranno ignorare come nell’anno 2010 – quello dei primi accordi separati di Pomigliano (15 giugno 2010 – 29 dicembre 2010) e Mirafiori (23 dicembre 2010) – vi sia stata una singolare coincidenza di licenziamenti per motivi disciplinari che andavano a colpire rappresentanti sindacali FIOM, a distanza di meno di un mese dal primo accordo di Pomigliano.

Con lettera del 13.7.2010 Pino Capozzi, Esperto  FIOM (figura equivalente al membro di RSU) dipendente di Fiat Group Automobiles – FGA  presso lo stabilimento di Mirafiori, veniva licenziato con l’accusa di aver gettato discredito sulla società diffondendo, tramite e-mail aziendale, un testo proveniente dallo stabilimento polacco di Tichy indirizzato “ai colleghi di Pomigliano”. A seguito di ricorso della FIOM di Torino il licenziamento veniva dichiarato illegittimo e antisindacale con decreto del Tribunale di Torino[3], confermato con sentenza dello stesso Tribunale[4] e con sentenza della Corte d’Appello di Torino[5].

Con lettera del 14.7.2010  venivano licenziati i delegati RSU Fiom dello stabilimento SATA di Melfi Giovanni Barozzino e Antonio Lamorte, insieme con l’iscritto FIOM Marco Pignatelli, accusati di aver impedito, in occasione di uno sciopero,  il transito di un carrello contenente materiale per rifornire i reparti che proseguivano l’attività produttiva. A seguito di ricorso della FIOM di Potenza e di approfondita istruttoria  i licenziamenti venivano dichiarati illegittimi e antisindacali con decreto del Tribunale di Melfi[6], peraltro riformato con sentenza dello stesso Tribunale[7]. La Corte d’Appello di Potenza riformava a sua volta tale ultima sentenza ribadendo  l’antisindacalità dei licenziamenti[8] e la  decisione veniva definitivamente confermata dalla  Corte di Cassazione[9]. Solo a seguito di tale ultima decisione i lavoratori venivano effettivamente reintegrati nel loro posto di lavoro (essendo stati per tutto il corso del processo retribuiti senza che venisse loro consentito di lavorare, ed avendo anche per lunghi periodi la società utilizzato la CIG) ad eccezione di Giovanni Barozzino, che usufruiva del distacco per essere stato eletto senatore nelle liste di SEL il 25 febbraio 2013.

Riconoscimento delle RSA Fiom.

“L’itinerario giuridico” per cercare di negare la rappresentanza alla FIOM all’interno degli stabilimenti FIAT ha  richiesto alcuni passaggi: l’uscita da Federmeccanica (firmataria dell’Accordo Interconfederale che aveva introdotto le RSU – Rappresentanze Sindacali Unitarie, di natura elettiva, assegnando alle stesse le prerogative che lo Statuto dei  Lavoratori  riserva alla RSA – Rappresentanze Sindacali Aziendali), la  disdetta di tutti gli accordi previgenti e la scelta, negli accordi “separati” di Pomigliano e Mirafiori  prima  e nel Contratto Collettivo Specifico di Lavoro  – CCSL del 13.12.2011 poi, di ritornare al vecchio istituto  delle RSA, unicamente perché il testo di legge che le disciplina (art. 19 Statuto dei Lavoratori) prevede (“letteralmente”) il requisito dell’essere firmatari della contrattazione collettiva applicata in azienda. Nei ricorsi ai sensi dell’art. 28 St. Lav. le FIOM dei diversi territori in cui esistono stabilimenti FIAT hanno da un lato sostenuto che FIOM era comunque firmataria di accordi applicati e dall’altro proposto una lettura “costituzionalmente orientata” della norma statutaria. Molti giudici (Tribunali di Bologna[10], Napoli[11], Bari[12], Larino[13], Lanciano[14], Verona[15], Torino[16], Milano[17], Trento[18]Pinerolo[19]) hanno accolto tale impostazione.  Altri (Tribunali di Milano[20], Lecce[21], Torino[22], Biella[23], Brescia[24], Cassino[25], Ancona[26], Pinerolo[27], Tolmezzo[28], Alba[29], Legnano[30], Napoli[31], Piacenza[32]) hanno invece respinto i ricorsi.

I Tribunali di Modena[33], Vercelli[34], Melfi[35] e Torino[36]   hanno rimesso la questione alla Corte Costituzionale, che nel luglio 2013 ha esaminato le tre ordinanze di Modena, Vercelli e Torino dichiarando illegittimo l’art. 19 “nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale sia costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti, quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda”[37].

Diritto delle FIOM a ricevere le deleghe sindacali

Non paga di cercare di impedire la costituzione di rappresentanze sindacali della FIOM, la FIAT ha cercato persino di ostacolare la possibilità che gli iscritti a quell’organizzazione la finanziassero con il meccanismo delle “deleghe sindacali”, attraverso cui i lavoratori cedono una  quota del  loro salario (l’1% dei minimi contrattuali nazionali) mediante trattenuta volontaria sulla busta paga. Il meccanismo, un tempo previsto dalla legge, trova oggi una regolamentazione, oltre che  nei contratti collettivi, anche nella richiesta effettuata all’azienda dal singolo lavoratore. Confidando sulla mancanza del requisito della firma del CCLS, da parte di FIOM, dal gennaio 2012 in tutti gli stabilimenti FIAT venivano ad essa  “tagliati i fondi”.

Ma questa volta la cieca volontà di FIAT di sfiancare l’organizzazione sindacale anche sotto il profilo della sua sussistenza economica, ha cozzato contro un ostacolo giuridico. Infatti, in occasione del ritesseramento di tutti gli iscritti, voluto dalla FIOM nel 2011 per una verifica della propria rappresentatività, era stato precisato, da parte dei lavoratori, che la cessione della quota sindacale aveva luogo ai sensi dell’art. 1260 cod. civ., secondo cui si ha diritto di cedere parte del proprio credito ad una terza persona anche qualora il debitore (in questo caso il datore di lavoro) non sia d’accordo. A seguito di ricorsi ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori promossi dalla diverse FIOM territoriali,  hanno dichiarato antisindacale la condotta FIAT  i Tribunali di Torino (tre diversi giudici[38]) Trento[39], Milano (quattro diversi giudici[40]), Bolzano[41], Ancona[42], Alba[43], Napoli (due diversi giudici[44]), Bari[45], Bologna[46], Pinerolo (tre decreti)[47], Cassino[48] Ariano Irpino[49], Nola[50], Verona[51], Piacenza[52],  nonché la Corte d’Appello di Torino (una sentenza e tre ordinanze di  inammissibilitàdell’appello FIAT “rilevato che si tratta di controversia seriale ripetutamente decisa in senso sfavorevole alle odierne appellanticon sentenze che hanno affermato consolidati principi che lappello non si fa carico di tali consolidati principi e che pertanto lo stesso non ha una ragionevole probabilità di essere accolto)[53] mentre hanno espresso una decisione contraria i  Tribunali  di Brescia[54], di Termini Imerese[55] e  di Milano[56].

Diritto di sciopero

La Fiat ha cercato anche di mettere in discussione il diritto di sciopero, con l’introduzione negli accordi separati della clausola dell’“esigibilità degli accordi”, con pressioni, intimidazioni e sanzioni disciplinari nei confronti di lavoratori e delegati per aver aderito agli scioperi proclamati dalla Fiom. Il Tribunale di Brescia[57] ha annullato e dichiarato illegittimi i provvedimenti disciplinari inflitti dall’azienda, che si richiamava agli art. 29 e 32 del Contratto Collettivo di Settore separato del 13.12.2011; il giudice ha ribadito il principio di una libera e incondizionata partecipazione allo sciopero dei singoli, senza che le modalità di esplicazione di tale diritto soffra limiti in ordine alle modalità di attuazione, ivi compreso l’avviso per la propria assenza

Discriminazione a Termoli

A seguito dell’esito favorevole della causa promossa dalla FIOM territoriale che  aveva stabilito la continuità di applicazione del CCNL unitario del 2008 per gli iscritti alla FIOM nello stabilimento di Termoli (nell’ambito del contenzioso cui si fa cenno in premessa), Fiat Powertrain Technologies aveva decurtato il salario degli iscritti FIOM,  non riconoscendo ai medesimi quello contrattato con gli accordi aziendali.  Tale condotta veniva dichiarata antisindacale dal Tribunale di Larino con decreto[58], provvedimento confermato in sede di opposizione con sentenza del Presidente dello stesso Tribunale[59]. Conseguentemente 25 iscritti FIOM proponevano altrettanti ricorsi individuali – poi riuniti – ai sensi dell’art. 28 del decreto legislativo n. 150/2011 (procedimento antidiscriminatorio) per chiedere il  ripristino del  trattamento economico goduto precedentemente. Il Tribunale di Larino, con ordinanza[60], ha accertato la condotta antidiscriminatoria tenuta da FPT che tratta in modo meno favorevole i lavoratori iscritti alla Fiom per il solo fatto di essere iscritti a questo sindacato e, dunque, per le proprie convinzioni personali (art. 2 comma 1 D.l.vo 216/2003) condannando la società non solo al risarcimento del danno patrimoniale subito, pari alle differenze retributive, ma anche ad  un ulteriore risarcimento per danni non patrimoniali a risarcimento delle “privazioni” e delle “sofferenze” subite, per comportamento in contrasto con i valori difesi e perseguiti dalla Costituzione, “in spregio al diritto di ogni singola persona di esprimere liberamente la propria personalità anche e soprattutto negli ambienti di lavoro.

Lo stabilimento di Pomigliano: il passaggio dei dipendenti da FGA a FIP

Come è noto FIAT, nel momento in cui aveva deciso che la costruzione della nuova Panda dovesse aver luogo da parte di una newco (Fabbrica Italiana Pomigliano – FIP), aveva pensato di giustificare il passaggio dei dipendenti dalla vecchia società che gestiva lo stabilimento “Gianbattista Vico” di Pomigliano d’Arco (Fiat Group Automobiles – FGA) mediante un  contratto di rete di imprese.

Nel luglio 2011 veniva sottoscritto avanti al Ministero del lavoro tra FGA  e FIM, UILM, FISMIC e UGL un accordo  nel quale si stabiliva il  ricorso alla CIGS (“per cessazione dell’intera attività” da parte di FGA) per tutti i 4367 lavoratori occupati presso lo stabilimento.  Il “passaggio” dei dipendenti (il cui primo step era previsto, per il 40% dei lavoratori, entro luglio 2012) avrebbe dovuto avvenire, secondo l’accordo separato 29.12.2010, “senza lapplicazione di quanto previsto dallart. 2112 cod. civ. (che, disciplinando il trasferimento d’azienda, salvaguarda le  condizioni salariali e normative in essere all’atto del passaggio: ndr) in quanto nelloperazione societaria non si configurano trasferimenti di rami dazienda”. Materialmente detti passaggi sono avvenuti mediante dimissioni dei lavoratori da FGA seguite da riassunzioni degli stessi lavoratori da parte di FIP.

La FIOM Nazionale con un primo ricorso ordinario (“saltando” la fase sommaria), lamentava l’antisindacalità della condotta FIAT, chiedendo al Tribunale di Torino da un lato di considerare detto “passaggio” un trasferimento d’azienda a tutti gli effetti, e dall’altro di censurare l’esclusione della FIOM dall’esercizio dei diritti sindacali presso lo stabilimento di Pomigliano. Il Tribunale di Torino[61] ha respinto la prima domanda ed accolto la seconda, dichiarando antisindacale il comportamento della FIAT ed ordinando a FIP di consentire alla FIOM di fruire di tutte le prerogative ed i diritti previsti dagli artt. da 19 a 27 dello Statuto dei Lavoratori[62].

Tale decisione sarà l’occasione di una serie di procedimenti antidiscriminatori che verranno subito trattati. Lo scenario subirà peraltro, nell’arco di un biennio, un drastico mutamento, anche per fronteggiare gli effetti dei provvedimenti giudiziari assunti. E di quello parleremo nel prossimo paragrafo.

I procedimenti contro la discriminazione a Pomigliano

Con ricorso promosso nel marzo 2012 ai sensi dell’art. 28 del decreto legislativo n. 150/2011 (procedimento antidiscriminatorio) presso il Tribunale di Roma, la FIOM Nazionale (e 19 suoi iscritti presso FGA) lamentavano come, in effetti, pur essendo a partire dal mese di marzo 2011 iniziate le assunzioni da parte di FIP, a quella data erano stati assunti 1893  lavoratori  (circa il 40% dei  dipendenti di  FGA collocati in CIGS, come previsto dall’accordo 6.7.2011) di cui nessuno iscritto alla Fiom. Nel corso del processo veniva prodotta una simulazione del Prof. Andrew Olson, docente di statistica presso l’Università di Birmingham, secondo cui in una selezione casuale le probabilità che nessuno degli iscritti Fiom venisse selezionato per l’assunzione ammontavano a meno di una su dieci milioni!   Il Tribunale di Roma accoglieva il ricorso[63] dichiarando la natura di discriminazione collettiva dell’esclusione dalle assunzioni dei lavoratori dello stabilimento di Pomigliano iscritti alla FIOM e ordinando a FIP di cessare dal comportamento discriminatorio. La decisione veniva confermata, nella sostanza, dalla Corte d’Appello di Roma[64] che ha ordinato a FIP di assumere i 19  ricorrenti FIOM entro 40 giorni e di predisporre ed attuare nel termine di 180 giorni “un piano di assunzione di 126 lavoratori da selezionare nell’ambito dell’elenco nominativo degli affiliati FIOM risultante al momento di presentazione del ricorso di primo grado”.  Il provvedimento veniva definitivamente confermato dalla  Corte di Cassazione[65].

Per tutta risposta FIP apriva una procedura di mobilità minacciando il licenziamento di altri 19 dipendenti: tale reazione è stata definita dalla maggior parte degli organi di stampa una vera e propria “azione di rappresaglia”. A fronte di una causa promossa dalla FIOM nazionale  contro FIP[66], avente ad oggetto la “protezione delle vittime” di comportamenti pregiudizievoli posti in essere quale reazione ad attività diretta ad ottenere la parità di trattamento, il Tribunale di Roma respingeva il ricorso[67] con la motivazione che i licenziamenti non erano stati intimati e dunque l’eventuale danno non si era ancora verificato, precisando però che, pur non potendosi costringere FIP ad avere alle proprie dipendenze un determinato numero di lavoratori, essa restava pur sempre obbligata dall’ordinanza della Corte di Appello ad assumere e mantenere in organico gli iscritti FIOM in proporzione all’accertata discriminazione.

I 19 – forzatamente assunti per ordine del giudice nel dicembre 2012 –  tra un pretesto e l’altro, non venivano mai adibiti alla produzione. All’inizio di febbraio 2013 la società, non avendo più scuse per non farli lavorare alle linee, preferiva “metterli in libertà” (vale a dire tenerli a casa pagati) in attesa di perfezionare il suo piano elusivo dell’ordine della magistratura.

È infatti in questo contesto che interveniva il colpo di genio della direzione Fiat: a febbraio 2013 l’Azienda annunciava che tutti i dipendenti passati da FGA e FIP sarebbero ritornati a FGA entro il 1 marzo 2013, e da quella data FIP, la tanto sbandierata ed indispensabile  newco, non avrebbe avuto più dipendenti.

La sorte dei lavoratori veniva disciplinata da un accordo sindacale (separato) che li ripartiva in tre aree: mentre per i lavoratori dell’Area A e B veniva prevista una sostanziale continuità produttiva (tranne temporanei cali di mercato) nessun effettivo criterio di rotazione veniva garantito per  l’Area C,  interessata dal maggior ricorso alla cassa integrazione. E, guarda caso, i 19 dipendenti Fiom forzatamente assunti da FIP poi tornati in FGA venivano destinati proprio all’Area C in applicazione di un pretestuoso criterio di assegnazione alle Aree A e B, “determinata in base alla adibizione effettiva protrattasi per almeno gli ultimi sei mesi”.

La stessa sorte veniva destinata agli altri 126 iscritti Fiom che, se non fosse intervenuta la discriminazione, al pari degli altri 19 sarebbero stati in possesso del requisito dell’aver svolto attività lavorativa per almeno sei mesi (ma a quel punto, con tutta probabilità, se ne sarebbe trovato un altro).

Un (terzo) ricorso antidiscriminazione veniva promosso dalla Fiom sia contro FIP sia contro FGA, lamentando una discriminazione nei confronti dei 19:  da parte della prima, per  non   aver consentito l’effettivo inserimento in produzione; da parte della seconda per la collocazione in cassa integrazione  nell’Area C. Il Tribunale di Roma[68] respingeva il ricorso giustificando la condotta delle due società (della prima, in quanto asseritamente giustificata dalla prossima acquisizione da parte di FGA; della seconda, per essere la stessa conforme a un criterio “storico, oggettivo e trasparente”, convenuto con un accordo sindacale, vale a dire il criterio della adibizione in produzione per almeno sei mesi, resa impossibile, per gli iscritti FIOM, proprio dalla accertata discriminazione!).  Contro l’ordinanza è pendente appello.

Raccomandazione OIL 13-27 marzo 2014

Il  Comitato sulla Libertà di Associazione  dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL-ILO, Caso n. 2953 – 320 sessione), nella seduta del 13-27 marzo 2014 si pronunciava su un ricorso contro il Governo italiano presentato dalla CGIL il 31 maggio 2012 per non aver garantito l’effettiva applicazione delle Convenzioni OIL n. 87, 98 e 135 con riferimento ai comportamenti tenuti dalla FIAT oggetto di questo scritto, ricostruendo tutta la vicenda relativa alla contrattazione “separata” portata avanti dal Gruppo FIAT e i fatti che avevano portato al contenzioso giudiziario di cui si è parlato.

Dopo aver ampiamente esaminato le osservazioni del Governo e dello stesso Gruppo FIAT e dichiarato – tra l’altro –  di ritenere “che la Corte Costituzionale del 3 luglio 2013 promuova il rispetto delle Convenzioni e dei principi relativi alla libertà di associazione e di negoziazione collettiva dell’ILO, in quanto subordinare la possibilità di avere una rappresentanza sindacale aziendale al raggiungimento di un accordo con il datore di lavoro sul contenuto di un contratto collettivo potrebbe restringere la libertà di azione delle organizzazioni sindacali e la libertà di contrattazione collettiva sancita, rispettivamente, nell’art. 3 della Convenzione  n. 87 e nell’art. 4 della Convenzione n. 98” e di ritenere “necessario ricordare che la discriminazione antisindacale costituisce una delle violazioni più gravi della libertà di associazione, dato che essa può compromettere l’esistenza dei sindacati invita il Consiglio di Amministrazione dell’OIL -ILO  ad approvare le seguenti raccomandazioni:

“a) Il Comitato chiede al Governo di agire rapidamente sulla questione e di tenerlo informato delle iniziative prese dal Governo, in consultazione con le parti sociali, per trarre eventuali conseguenze legislative derivanti dalla sentenza della Corte Costituzionale del 3 luglio 2013 concernente la definizione del criterio di attribuzione dei diritti sindacali rafforzati riconosciuti dall’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori, in linea con le Convenzioni e i principi riguardanti la libertà sindacale dell’ ILO.

b) Nell’osservare che la trattenuta della quota sindacale dei lavoratori affiliati a favore di diversi sindacati rappresentativi è stata discontinua riguardo alla FIOM – CGIL dopo il suo rifiuto di firmare l’accordo collettivo, il Comitato, in considerazione dei meriti del caso e tenendo conto delle decisioni dei tribunali che hanno già ordinato la ripresa di tali trattenute in parecchie aziende del Gruppo, chiede al Governo di riunire le parti interessate, al fine di garantire che tutti i dipendenti del gruppo iscritti alla FIOM – CGIL possano continuare ad avere le quote trattenute dai loro salari e versate a detta organizzazione sindacale.

c) Il Comitato chiede al Governo di indicare se i tre delegati sindacali della FIOM – CGIL dell’azienda di Melfi, che sono stati oggetto delle sentenza della Corte di Cassazione del 2 agosto 2013, siano stati effettivamente reintegrati.

d) Riguardo alle altre accuse di condotta antisindacale e di discriminazione contenute nel presente caso, il Comitato chiede di essere informato delle decisioni giudiziarie ancora in sospeso. Chiede, inoltre, al Governo di prendere le iniziative necessarie, come facilitare il dialogo tra il Gruppo e l’organizzazione ricorrente, per impedire che nuovi conflitti di natura simile si presentino all’interno del Gruppo in esame. Il Comitato chiede al Governo di tenerlo informato su questa questione”.

*  *  *

Come si diceva, a Pomigliano dopo il rientro di tutti i dipendenti da FIP a FGA è mutato lo scenario della discriminazione.

Poiché la situazione è in continuo divenire (ed infatti questo scritto viene costantemente aggiornato) si tratta di capire cosa farà la FIAT.

Se FIP può vantarsi – si fa per dire – di aver vissuto la sua breve vita senza nemmeno un iscritto FIOM (con risultati produttivi inferiori a quelli previsti, a dimostrazione dell’inutilità, quantomeno a quei fini, della discriminazione) per FGA non sarà altrettanto facile seguire le stesse “linee guida”, essendo la FIOM già ben radicata in azienda.  È quindi possibile che la direzione della FIAT decida prima o poi di desistere dai propositi fino ad oggi messi in atto.

Anche perché dovrà rendere conto della sua condotta non solo alla magistratura civile: alla fine del mese di marzo 2013 la Procura di Nola ha inviato all’amministratore delegato di Fiat Sergio Marchionne e all’amministratore delegato di Fabbrica Italiana Pomigliano (FIP), Sebastiano Garofalo, l’avviso di conclusioni delle indagini preliminari del Pubblico Ministero per non aver ottemperato all’ordine del Tribunale di Torino di riconoscere i diritti sindacali alla Fiom e per non aver superato la discriminazione nei confronti degli iscritti Fiom nell’assunzione da parte di FIP,  accertata dal Tribunale di Roma e dalla Corte d’Appello della stessa città.

In una nota sdegnata trasmessa alla stampa il 29 marzo 2013, il Lingotto aveva definito l’iniziativa “l’ennesima espressione dell’inusitata offensiva giudiziaria avviata dalla Fiom nei confronti della Fiat, con la promozione, sulla sola questione del riconoscimento dei diritti sindacali, di 62 ricorsi , 45 dei quali decisi da 22 giudici in favore dell’azienda, 7 in favore della Fiom, 7 con rinvio alla Corte Costituzionale per la questione di legittimità costituzionale delle norme da applicare e 3 non ancora definiti…” lamentandosi che “per il solo fatto di aver cercato di avviare … un sistema di relazioni industriali innovativo ed adeguato alle esigenze del mercato attuale, si trovi ad essere destinataria di un interminabile, strumentale ed infondato contenzioso”.

La Fiat quindi si dichiarava vittima  del contenzioso narrato in queste  note, sul cui esito peraltro forniva numeri errati,  volutamente confondendo il numero dei ricorsi (e di aziende coinvolte) con il numero dei provvedimenti giudiziari (sentenze, decreti, ordinanze) a proprio favore, peraltro travolti dalla sentenza della Corte Costituzionale del luglio 2013 (che ha deciso, tra l’altro, anche su una ordinanza di remissione del Tribunale di Torino relativa a 14 importanti aziende piemontesi di cui alla nota 22, determinanti  nei “calcoli” della Fiat tra le decisioni che pretendeva a proprio favore).

Rispetto a tale contenzioso, a fronte della decisione di FIAT di accettare la decisione della Corte Costituzionale e conseguentemente riconoscere le rappresentanze sindacali alla FIOM, si è pervenuti alla fine del 2013 ad un accordo generale per l’abbandono dei giudizi in corso.

Considerando questo, e tenendo delle pronunce sulle “deleghe sindacali” (oltre trenta sentenze di condanna dell’azienda), si può tranquillamente sostenere che l’esito delle cause “sulla sola questione dei diritti sindacali” è stato tutto a favore della Fiom.

Dunque  l’ “offensiva giudiziaria”  subìta dalla FIAT ha corrisposto solo alla necessaria esigenza, da parte della FIOM,  di contrastare la violazione  di diritti fondamentali di portata costituzionale:  che  tale contenzioso non fosse “infondato” è provato non solo dalle decisioni della magistratura (e in questo senso – lo si ammette – esso è  stato “strumentale” all’ affermarsi  della giustizia) ma anche dalla pronuncia di un organismo internazionale così importante come il Consiglio di Amministrazione dell’OIL.

Bologna, aprile  2014

NB: I testi integrali dei provvedimenti citati sono rinvenibili sul sito:

http://www.fiom-cgil.it/web/aziende/grandi-gruppi/gruppo-fiat/decreti-e-sentenze-fiat

[1]      Avvocato giuslavorista membro del collegio difensivo FIOM

[2]      Va solo segnalato che, a seguito di indebita trattenuta  delle somme inizialmente riconosciute in applicazione del CCNL 2009 nei confronti degli iscritti FIOM dello stabilimento di Termoli Imerese (per i quali era stata riconosciuta dal giudice l’applicabilità del CCNL 2008), la condotta aziendale è stata dichiarata antisindacale e discriminatoria dal Tribunale di Larino con decreto del 29.10.2012

[3]      Decreto 13.10.2010

[4]      Sentenza 22.4.2011

[5]      Sentenza 13.3.2012

[6]      Decreto  9.8.2010

[7]      Sentenza  15.7.2011

[8]      Sentenza  23.3.2012

[9]        Sentenza 31.7.2013 n. 18368

[10]     Decreto 27.3.2012

[11]     Decreto 12.4.2012

[12]     Decreto 20.4.2012

[13]     Decreto 23.4.2012

[14]     Decreto 30.4.2012

[15]     Decreto 8.5.2012

[16]     Decreto 6-6.2012

[17]     Sentenza 10.7.2012

[18]     Decreto 27.7.2012

[19]     Sentenza 22.10.2012

[20]     Decreto 3.4.2012, (riformato con sentenza 10.7.2012), 27.4.2012 e 8.10.2012

[21]     Decreto 12.4.2012

[22]     Decreto 13.4.2012 (relativo a 14 aziende. Peraltro nel giudizio di opposizione con ordinanza 12.12.2012 è stata sollevata la questione di costituzionalità dell’art. 19 con rinvio alla Corte Costituzionale – v. note 36 e 37 –  che  il 2.7.2013 ha deciso in senso favorevole alla FIOM)

[23]     Decreto 21.4.2012

[24]     Decreto 24.4.2012 e 3.8.2012

[25]     Decreto 9.5.2012

[26]     Decreto 18.5.2012

[27]     Decreti 21.5.2012 e 23.5.2012

[28]     Decreto 28.5.2012

[29]     Decreto 12.6.2012

[30]     Decreto 22.6.2012

[31]     Decreto 13.7.2012

[32]     Decreto 10.9.2012

[33]     Ordinanza 4.6.2012

[34]     Ordinanza 25.9.2012

[35]     Ordinanza 28.11.2012

[36]     Ordinanza 12.12.2012

[37]    Sentenza n. 231 del 23.7.2013

[38]     Decreti  7.5.2012; 28.6.2012; 10.7.2012; confermati con sentenze 26.7.2012 e 13.11.2012

[39]     Decreto 14.6.2012 confermato con sentenza 2.5.2013

[40]     Decreti 22.6.2012; 19.7.2012; 25.7.2012 confermato con sentenza 20.12.2012

[41]     Decreto 26.6.2012

[42]     Decreto 3.7.2012

[43]     Decreto 5.7.2012

[44]     Decreti 12.7.2012; 25.7.2012

[45]     Decreto 24.7.2012

[46]     Decreto 24.7.2012

[47]     Decreti 27.7.2012, uno confermato con sentenza 13.11.2012

[48]     Decreto 27.7.2012

[49]     Decreto 30.7.2012

[50]     Decreto 30.7.2012

[51]     Decreto 13.8.2012

[52]     Decreto 31.8.2012

Sentenza 13.2.2014; Ordinanze  ex art. 348 bis e ter  cpc 9.4.2014, 10.4.2014 e  16.4.2014

[54]     Decreti 4.6.2012  e 23.11.2012

[55]     Decreto 22.10.2012, confermato con sentenza 26.9.2013, in caso peraltro in cui i lavoratori erano sospesi in CIG per cessata attività

[56]     Decreto 2.4.2013, in caso peraltro in cui i lavoratori erano sospesi in CIG per cessata attività

[57]      Sentenza 21.3.2013

[58]    Decreto 29.10.2012

[59]    Sentenza 20.3.2013

[60]     Ordinanza 17.4.2013

[61]     Sentenza 16.7-14.9.2011 est. Cecchetti

[62]     La sentenza è stata impugnata con Regolamento di competenza e la Corte di Cassazione con sentenza n.20091/2012 depositata in data 15.11.2012 ha respinto il ricorso, confermando la statuizione relativa alla competenza per territorio del Tribunale di Torino.

[63]     Ordinanza 21.6.2012 (est. dott.ssa Baroncini). Con ordinanza del 13.8.2012 la Corte d’Appello di Roma  dichiarava inammissibile l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento proposta  da FIAT.

[64]     Ordinanza 19.10.2011 (rel. dott.ssa Orru)

[65]        Sentenza 11.3.2014 n. 5581

[66]     Ai sensi dell’art.4 bis del D.L.vo 9.7.2003 n.216

[67]     Ordinanza 22.1.2013 (est. dott.ssa Boghetich)

[68] Ordinanza 6.5.2013 (est. dott.ssa Monterosso)

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