Con sentenza del 3 febbraio 2021 il Tribunale di Bologna, in persona della dott.ssa Emma Cosentino, ha ordinato il reintegro di una dipendente con anzianità di servizio ventennale, assistita dall’avv. Sara Passante. La lavoratrice era stata licenziata “per giusta causa” da una nota cooperativa per aver riferito ad un collega dipendente di cooperativa appaltatrice “anche a me piacerebbe non fare niente…” e per aver chiesto a due colleghi “…sorridendo, se avessero voluto un caffè”.
Secondo il Tribunale le frasi “incriminate” non appaiono offensive, essendosi limitata la lavoratrice a “fare una battuta di spirito non divertente, al massimo infelice (meritevole, ad esagerare, di un immediato rimprovero orale), peraltro reattiva (pensava di avere ragione era stanca, molto arrabbiata per la maleducazione verso l’ambiente di lavoro…)”.
Peraltro la condizione di fragilità della dipendente determinata dalle sue difficoltà psicofische, allegata anche a fini giustificativi, secondo la Giudice non va neppure esaminata, poiché si tratta di uno stato che comunque “non ha malamente influenzato la ricorrente, bensì, semmai, la società resistente, che consapevolmente o inconsciamente ha cercato di disfarsi di una dipendente forse esageratamente sensibile e suscettibile.”.
Nella prima fase della causa un diverso giudice dello stesso Tribunale aveva ritenuto i fatti “di tenue gravità” e il “licenziamento sproporzionato” ma, sul presupposto che vi fosse comunque un “fatto antigiuridico”, aveva riconosciuto alla lavoratrice solo una indennità risarcitoria di 18 mensilità (oltre alla indennità di preavviso), e quindi senza diritto alla reintegra. Reintegrazione riconosciuta, come detto, dalla giudice della seconda fase, secondo cui “trattasi in realtà di fatto di nessuna gravità e di licenziamento spropositato“.