L'importanza del provvedimento è data dal fatto che il giudice non ha inteso seguire quel'indirizzo interpretativo suggerito da alcuni interpreti, secondo cui la reintegrazione non sarebbe possibile in presenza di due ipotesi: 1) che l'addebito contestato dal datore di lavoro si sia materialmente realizzato; 2) che per quell'infrazione il contratto collettivo non preveda una sanzione disciplinare diversa dal licenziamento. In questa ipotesi - sempre secondo certi interpreti - il potere del giudice di valutare la proporzionalità tra sanzione e infrazione nel caso concreto potrebbe portare, anche se si accertasse l'insussistenza di una giusta causa, solo ad una sanzione economica, ma non alla reintegrazione. E' chiaro che la Legge Fornero, così interpretata, svuoterebbe di incidenza il potere del giudice in tutti quei licenziamenti intimati per comportamenti realmente tenuti dal dipendente ma di gravità irrisoria, se non nulla, rendendo veramente residuale la sanzione reintegratoria nella stragrande maggioranza dei casi di licenziamenti disciplinari. Al contrario, ove l’interpretazione accolta dal Tribunale di Bologna prendesse piede, tale conseguenza (probabilmente auspicata da molte delle forze politiche che hanno voluto la riforma) verrebbe fortemente depotenziata. Il caso concreto sottoposto all’attenzione del giudice bolognese riguarda il caso di un lavoratore dipendente dell’ATLA s.r.l., azienda metalmeccanica di Bentivoglio (BO), licenziato alla fine di luglio perché con mail del 17 luglio 2012 inviata ad un collega aveva affermato: “Parlare di pianificazione in questa azienda è come parlare di psicologia con un maiale, nessuno ha il minimo sentore di cosa voglia dire pianificare una minima attività in questa azienda.” Con ordinanza del 15 ottobre 2012 il Tribunale di Bologna (dott. Marchesini) ha innanzi tutto precisato che “la qualificazione e la valutazione di tale fatto, come di qualunque fatto storico, richiede la contestualizzazione del fatto medesimo e la sua collocazione nel tempo, nello spazio, nella situazione psicologica dei soggetti operanti, nonché nella sequenza degli avvenimenti e nelle condotte degli altri soggetti che hanno avuto un ruolo nel fatto storico in esame”. Proprio alla luce di un’approfondita valutazione del caso concreto e di tutte le circostanze che lo hanno caratterizzato il giudice perviene alla conclusione che “sotto il profilo della valutazione della gravità del comportamento addebitato, lo stesso non è idoneo ad integrare il concetto di giusta causa di licenziamento”. Ma l’importanza e la particolarità della decisione del giudice bolognese è che ordina la reintegrazione pur in presenza della sussistenza materiale del fatto contestato, accogliendo la tesi, sostenuta dalla difesa del lavoratore, che “la norma in questione (l’art. 18 nella sua nuova formulazione, che prevede la reintegra solo in caso di “insussistenza del fatto contestato”: n.d.r.) parlando di fatto, fa necessariamente riferimento al cd. “fatto giuridico” inteso come il fatto globalmente accertato, nell’unicum della sua componente oggettiva e nella sua componente inerente l’elemento soggettivo. Né può ritenersi che l’espressione insussistenza del fatto contestato utilizzata dal legislatore facesse riferimento al solo fatto materiale, posto che tale interpretazione sarebbe palesemente in violazione dei principi generali dell’ordinamento civilistico, relativi alla diligenza e alla buona fede nell’esecuzione del rapporto lavorativo, posto che potrebbe giungere a ritenere applicabile la sanzione del licenziamento indennizzato, anche a comportamenti esistenti sotto l’aspetto materiale ed oggettivo, ma privi dell’elemento psicologico, o addirittura privi dell’elemento della coscienza e volontà dell’azione”. Il Tribunale, da ultimo, evidenzia che comunque il fatto in contestazione era (eventualmente) riconducibile ad una ipotesi del CCNL Metalmeccanici 2008 ("lieve insubordinazione nei confronti dei superiori") per la quale si prevede una sanzione disciplinare minore, di tipo conservativo e non espulsivo. L'ordinanza in esame rappresenta un precedente giurisprudenziale importantissimo, perché interviene nella fase di prima applicazione della legge n. 92/2012, depotenziandola in quella che voleva essere la sua principale finalità: di ricondurre le conseguenze di quasi tutte le fattispecie di licenziamenti illegittimi (salvo quelli discriminatori) ad un mero risarcimento economico. Ma non tutte le ciambelle riescono col buco.