Nonostante la corposa produzione normativa, della quale sopra ho ricordato soltanto i passaggi più rilevanti, la tutela effettiva delle condizioni di lavoro delle donne, sia nel corso ordinario del loro rapporto ( gestione degli orari e dei permessi e tutela della professionalità) che nel delicato momento del rientro in servizio dopo l'assenza per maternità, e ben lungi dall'essere attuata.
Ogni giorno, e purtroppo con sempre maggior frequenza, le donne vengono discriminate, private delle loro mansioni e sostituite da altro personale, lasciate in azienda sostanzialmente inattive o ancora oggi licenziate per il solo motivo di essere diventate madri.
Ciò nonostante che la legislazione sopra richiamata sia espressamente improntata non solo ad una tutela di “genere” ma anche a garantire che le donne, in quanto madri, non subiscano trattamenti deteriori correlati a tale loro condizione ed al ruolo di cura che tale condizione comporta.
L’art. 56 del testo unico 151/01 prevede espressamente una particolare tutela per la lavoratrice e il lavoratore, che siano genitori naturali o adottivi, che riconosce loro il diritto non solo alla conservazione del posto di lavoro, ma a rientrare nella stessa unità produttiva ove erano occupati sino al momento dell’astensione o in altra ubicata nel medesimo comune, e ad essere adibiti alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti, con divieto di trasferimento in un’altra unità produttiva per un termine coincidente con il compimento del primo anno di vita del bambino.
Questo è anche il periodo nel quale, come noto, opera il divieto di licenziamento che sorge, per la donna lavoratrice, al momento dell'inizio della gravidanza ed in connessione con il suo stato oggettivo (si rammenta che nel caso di licenziamento la lavoratrice dovrà impugnare entro 60 giorni il licenziamento e inoltrare entro 90 giorni l’idonea certificazioni al datore di lavoro attestante il suo stato di gravidanza).
Il divieto di licenziamento non opera soltanto nelle seguenti ipotesi:
Þ colpa grave da parte della lavoratrice e del lavoratore (giusta causa)
Þ cessazione attività aziendale
Þ ultimazione della prestazione lavorativa
Þ scadenza del contratto a termine
Þ esito negativo della prova
In quest’ultimo caso il datore di lavoro dovrà motivare e dimostrare il mancato esito positivo della prova, ciò al fine di escludere con ragionevole certezza che la risoluzione del rapporto è avvenuta in ragione della gravidanza della lavoratrice conosciuta al datore di lavoro [1].
La lavoratrice o il lavoratore non possono essere sospesi per Cig/S o per contratti di solidarietà nel periodo in cui vige il divieto di licenziamento, salvo che non sia sospesa l’attività dell’azienda o del reparto, inoltre non possono essere collocati in mobilità a meno che non si tratti di cessazione dell’attività dell’azienda.
Alle lavoratrici addette al lavoro stagionale è riconosciuto il diritto di precedenza per tutto il periodo che opera il divieto di licenziamento.
Per quanto riguarda le dimissioni (art. 55 T.U.) se presentate entro l’anno di vita del bambino, o di ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento, queste devono essere comunicate dalla lavoratrice, o dal lavoratore nel caso abbia usufruito dei congedi di paternità, ai servizi Ispettivi della Direzione Provinciale del Lavoro competente per territorio, che devono provvedere, una volta accertata l’effettiva volontà di risolvere il rapporto di lavoro, alla loro convalida, in mancanza della convalida le dimissioni sono inefficaci .
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