Normativa: Legge 183/2010: il part-time nel lavoro pubblico.

 

L’art. 16 del “Collegato lavoro” e la (discutibile) opportunità per le pubbliche amministrazioni di revocare le trasformazioni a tempo parziale già concesse.

 

di Alberto Piccinini e Giorgio Sacco

 

La disciplina del tempo parziale nel settore pubblico è stata sottoposta, in questa legislatura, a ripetuti interventi diretti a limitare fortemente la possibilità del dipendente di ottenere la trasformazione da tempo pieno a parziale, che prima del 2008 costituiva un diritto (quasi) incondizionato. E’ evidente la concezione della maggioranza di centrodestra legata a un pregiudizio negativo nei confronti del part-time e dei suoi effetti sull’efficienza della pubblica amministrazione. La modifica introdotta dal Collegato lavoro (art. 16 legge 183/2010) è tuttavia particolarmente rilevante e grave, poiché incide sulla posizione di chi aveva già ottenuto la trasformazione prima del 2008, e quindi su diritti acquisiti in base alla previgente disciplina: innovazione quanto mai preoccupante per i suoi effetti, soprattutto se si tiene conto che il part-time nel settore pubblico (come nel privato) è utilizzato soprattutto da lavoratrici, quale uno dei pochi strumenti di conciliazione tra lavoro e impegni di cura familiare. Sulla disposizione, e suoi suoi profili problematici di interpretazione, segue un commento degli avvocati Piccinini e Sacco di Bologna.

 

Le modifiche alla disciplina nel part-time nel settore pubblico.

Precedentemente all’intervento legislativo del 2008, nei vari comparti del pubblico impiego la trasformazione di rapporti di lavoro a tempo pieno in rapporti a tempo parziale su richiesta del dipendente interessato era un diritto del lavoratore: il diritto, come regola generale, veniva concesso automaticamente dall’amministrazione e al massimo posticipato per non più di sei mesi in caso di conseguenze negative sull’organizzazione degli uffici (art.1, co. 58, della l. n. 662/1996).

La norma riconosceva pertanto la prevalenza dell’interesse del dipendente rispetto a quello dell’amministrazione, il cui buon andamento era comunque preservato dalla previsione di una percentuale massima di part-time rispetto al personale in servizio, raggiunta la quale poteva negare la trasformazione. Inoltre era prevista la possibilità di procedere a nuove assunzioni con i risparmi di spesa per il personale, ottenuti con i rapporti part-time.

Tuttavia le pubbliche amministrazioni non hanno mai accolto e applicato di buon grado la citata disposizione, che comportava certamente (non insuperabili) problemi di organizzazione e gestione del personale, che i competenti uffici sono stati sempre restii ad affrontare. Pertanto è stato ben accolto dalle amministrazioni il d.l. n. 112/2008, convertito dalla Legge n. 133/2008, con cui è stato fortemente compresso questo diritto dei dipendenti, in favore della scelta discrezionale dell’amministrazione.

Quello che era un diritto del lavoratore è quindi diventato una facoltà dell’amministrazione, la quale, non potendo più procrastinare la trasformazione, può ora rigettarla qualora da essa derivino possibili conseguenze pregiudizievoli per la propria attività o qualora l’attività che il dipendente vuole intraprendere sia in contrasto con i compiti dell’ente (l. n. 133 del 2008, art. 73). Pregiudizi e contrasti che possono essere facilmente individuati e che consentono di evitare le problematiche inerenti la riorganizzazione del servizio e del personale conseguente alla concessione dei part-time.

Il “Collegato lavoro” compie un passo ulteriore rispetto a questo processo di “demolizione” e limitazione del diritto al part-time nel pubblico impiego avviato nel 2008. L’art. 16, infatti, attribuisce alle pubbliche amministrazioni la facoltà di sottoporre “a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione dei rapporti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già adottati prima della entrata in vigore del Dl n. 112/2008”.

Più esattamente, entro 180 giorni dall’entrata in vigore della legge (e dunque entro il 23 maggio 2011) le amministrazioni possono procedere al riesame dei contratti di trasformazione dei rapporti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale sottoscritti in passato, i quali, pertanto, sembrerebbe possano essere unilateralmente rescissi. Vista l’assenza di specificazioni al riguardo, si presume che le amministrazioni possano rivedere tutti i contratti part-time già stipulati, senza alcun limite di tempo.

 

L’applicazione del’art. 16 del Collegato.

Pertanto, se il d.l. n. 112 del 2008, rendendo la trasformazione del tempo pieno in tempo parziale facoltativa (e non più obbligatoria) per le amministrazioni, aveva colpito la posizione di chi aspirava alla trasformazione successivamente al 25 giugno 2008, - data di entrata in vigore del citato decreto legge - ora, con la legge n. 183/10, vengono colpite anche le trasformazioni avvenute prima del 25 giugno 2008.

Queste, dunque, potranno essere revocate in ogni caso in cui le amministrazioni valutino che la presenza in servizio a tempo pieno sia necessaria ai fini del buon andamento dell’ufficio. A prima vista sembrerebbe, quindi, che le amministrazioni possano fondare la revoca dei part-time già concessi su generiche “esigenze di servizio” (e quindi anche solo per presunti rischi di efficienza organizzativa degli uffici) non essendo più richiesta la dimostrazione del “grave pregiudizio” alla funzionalità dell’amministrazione.

Unica garanzia che il legislatore sembra riconoscere ai dipendenti con contratto part-time è che la nuova valutazione avvenga “nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede”: ciò dovrebbe imporre alle pubbliche amministrazioni l’adozione di criteri ispirati a quei principi con i quali sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale.

È quanto avvenuto, ad esempio, nel settore della giustizia. Con la Circolare n. 1196 del 2010 il Direttore Generale del Comparto Giustizia ha previsto che la revoca del part-time debba