L’appalto di servizi nella 276/03

E’ ormai noto che con l’entrata in vigore della riforma del diritto del lavoro si è avuto un attacco massiccio ad alcune norme fondamentali della disciplina giuslavoristica.

Tra le tante leggi che sono state travolte dalla nuova normativa c’è la n. 1369 del 1960, ossia uno dei pilastri fondamentali per i diritti dei lavoratori, per poter ampliare la possibilità per l’imprenditore di assegnare ad altro imprenditore, anche attraverso un contratto di appalto, lo svolgimento di parte della propria attività produttiva.

In buona sostanza con il decreto legge si è avuto un ribaltamento degli orizzonti e sono stati rimossi alcuni importanti limiti posti agli imprenditore per evitare l’utilizzo della forza lavoro senza l’assunzione di responsabilità e rischi.

L’effetto che si ha è che ciò che prima era l’eccezione – ossia le limitate ipotesi in cui poteva essere concesso dall’imprenditore un appalto di servizi inerenti la propria attività produttiva – ora è divenuta la regola. Ciò, ovviamente, in piena coerenza con lo spirito e le scelte politiche che hanno mosso questa importante, ma deleteria, riforma.

D’ora in poi l’imprenditore potrà concedere in appalto qualsiasi tipo di prestazione o di attività inerente la propria organizzazione imprenditoriale purchè sussistano alcuni elementi che qui di seguito verranno illustrati .

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L’art. 29 del decreto legge 276/03 esordisce indicando quelli che sono gli elementi che differenziano l’appalto di servizio dalla somministrazione di mano d’opera.

L’elemento che caratterizza la somministrazione di manodopera è rappresentato dal fatto che l’imprenditore titolare dei rapporti di lavoro si limita a fornire le prestazioni lavorative (o meglio i lavoratori) che vengono diretti e organizzati dall’imprenditore utilizzatore .

Nell’appalto di servizi, invece, i rapporti di lavoro sono costituiti con l’impresa appaltatrice, che, oltre ad essere titolare formale dei rapporti, organizza direttamente quella che è l’attività lavorativa.

Dunque nell’appalto di servizi il potere direttivo e organizzativo rimane in capo all’impresa appaltatrice, mentre nella somministrazione di manodopera questi elementi contrattuali si trasferiscono in capo all’impresa somministrata, ed proprio questa la differenza che viene posta dalla norma tra l’appalto di servizi e la somministrazione di mano d’opera.

Ora una volta definito quello che è la differenza tra appalto di servizi e la somministrazione di manodopera, la norma definisce quelli che sono gli elementi di legittimità dell’appalto di servizi. Gli elementi di legittimità indicati dall’art. 29 sono esclusivamente riferiti al fatto che l’impresa appaltatrice deve avere una propria organizzazione imprenditoriale e deve assumere direttamente il rischio di impresa.

Detti criteri erano contenuti anche nella legge 1369 del ’60 che al fine di valutare la legittimità dell’appalto richiedeva che l’impresa appaltatrice fosse genuina .

La differenza rispetto alla precedente normativa è che in vigenza della legge 1369/60 la valutazione della sussistenza dell’effettiva organizzazione produttiva e del rischio di impresa era effettuato in modo rigoroso. Nota al riguardo era tutta l’elaborazione giurisprudenziale formatasi sul concetto di genuinità di impresa, rischio di impresa ecc.. ecc…. Nell’articolo 29 del decreto legge, invece, la valutazione della genuinità dell’impresa appaltatrice è molto ampia ed elastica .

Per cogliere la differenza è sufficiente effettuare una superficiale lettura dell’art. 29.

Al primo comma della norma, così come è stato modificato in sede di definitiva approvazione, la valutazione dell’effettiva dell’impresa è si riferita all’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, ma detto concetto viene ridotto al fatto che per accertare la genuinità dell’impresa appaltatrice è sufficiente che l’imprenditore eserciti nei confronti dei propri dipendenti il potere organizzativo e direttivo e assuma il rischio di impresa.

Il concetto contenuto nell’art. 29 deve, però, essere interpretato e letto assieme all’art. 84, dello stesso provvedimento legislativo, che disciplina la funzione di certificazione degli enti bilaterali in caso di appalto di servizi .

In primo luogo occorre rilevare che nel caso di appalto di servizi la certificazione da parte degli enti bilaterali può avvenire sia al momento di stipulazione del contratto di appalto sia nella fase di attuazione.

Inoltre la certificazione può avere anche lo scopo di accertare concretamente se il contratto concluso tra i due imprenditore sia da ricondurre all’appalto di servizi o alla somministrazione di manodopera.

Questa precisazione contenuta nell’art. 84 evidenzia un aspetto molto grave, perchè nel caso in cui non sussistono gli elementi richiesti per aversi l’appalto di servizi, il rapporto instaurato tra gli imprenditori non va necessariamente dichiarato illegittimo, ma può essere “sanato” inquadrandolo nella figura della somministrazione di manodopera.

Ciò che il legislatore sembra evitare è la rimozione del rapporto di lavoro tripartito (nei suoi due schemi: a) lavoratore – impresa somministratrice – impresa somministrata; b) lavoratore – impresa appaltatrice – impresa committente), quasi si trattasse di un dogma inviolabile.

E’ davvero notevole la differenza con la precedente normativa, che invece – lo si ricorda - sanciva in caso di appalto illecito la costituzione del rapporto di lavoro in capo all’effettivo utilizzatore della manodopera, conseguenza non contemplata dall’art. 29, ciò a dimostrazione della grave disattenzione del legislatore riguardo i diritti dei lavoratori ([1]).

Ritornando su quelli che sono i nuovi elementi di distinzione tra l’appalto genuino e l’appalto illecito è opportuno evidenziare che l’art. 84, un po’ in contraddizione con quello che è l’impianto della norma principale, pare fissare degli indici presunti ben definiti e non del tutto diversi da quelli precedentemente previsti dalla legge n. 1369/60.

Al secondo comma dell’art. 84 viene infatti sancito che entro sei mesi dalla entrata in vigore del provvedimento con provvedimento del Ministro del Lavoro verranno addottati codici di buone pratiche e indici presuntivi in materia di interposizione illecita e appalto genuino, che tengano conto della rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e della assunzione effettiva del rischio tipico di impresa da parte dell’appaltatore .

Detto comma non è da sottovalutare nella sua valenza pragmatica, in quanto anche prima che venga emanato l’ulteriore provvedimento di attuazione, gli elementi in esso indicati potranno essere utilizzato nella causa in cui si contesta la legittimità dell’appalto di servizi.

E’, infatti, evidente che la norma lascia intendere, soprattutto con l’accezione dell’aggettivo rigoroso, che per aversi un legittimo appalto di servizi occorre che l’impresa appaltatrice non solo sia munita di una reale ed effettiva organizzazione, ma anche che vi sia un effettivo rischio di impresa.

Questo ultimo concetto dovrà essere tenuto ben presente perché ci consentirà di mutuare e utilizzare quei principi elaborati dalla giurisprudenza in applicazione dell’art. 1369/60.

Quello che si vuol dire è che il concetto di “reale organizzazione” e il concetto di “assunzione del rischio di impresa”, sono gli elementi che ci consentiranno ampia possibilità per impugnare forme di esternalizzazione attuate attraverso l’assegnazione di appalti che possono determinare gravi violazione dei diritti dei lavoratori e non rispondono ad effettivi e concrete esigenze di riorganizzazione aziendale.