La riforma del lavoro a part-time e a tempo determinato

da parte della legge n. 247/ 2007 e in conseguenza della

sentenza della Corte Costituzionale n. 44 del 2008.

Alberto Piccinini

La danza del cigno della morente legislatura ha partorito la modifica di due istituti che l’ordinamento conosce da tempo ma che negli ultimi anni sono entrati a far parte del vasto fenomeno della “precarizzazione” caratterizzandosi per interventi mirati a introdurre una minor tutela del lavoratore.

Fermo restando che la legge 24 dicembre 2007, n. 247 opera (parzialmente) in senso contrario e che la stessa è il punto di equilibrio raggiunto dopo un serrato confronto tra le parti sociali, l’altalena di cambiamenti così ravvicinati non può che lasciare perplessi gli interpreti e chi quelle leggi deve applicare.

In altri termini, avvocati, sindacalisti, giudici e consulenti del lavoro appena iniziano ad assimilare nuove regole, queste vengono modificate in modo significativo, per poi essere nuovamente modificate in senso contrario, quasi che l’alternanza delle maggioranze politiche debba presupporre una continua precarietà di certezze legislative. Per non dire delle incertezze contrattuali che automaticamente ne conseguono: dal momento infatti che le disposizioni dei contratti collettivi cercano di adeguarsi alle novità legislative, l’inevitabile ritardo con cui esse trovano applicazione comporta che possano essere presto già superate, modificando anche la portata della tutela. Si pensi, ad esempio, a quei contratti collettivi che non hanno disciplinato la cd. “clausola di ripensamento” per l’accettazione di clausole elastiche o flessibili nei part-time (di cui si parlerà): quando era data alle parti la possibilità di stipulare a livello individuale detti accordi, la mancata regolamentazione collettiva si caratterizzava per essere un elemento di svantaggio per il dipendente; al contrario, la stessa omessa regolamentazione collettiva oggi importa l’impossibilità per i singoli di stipulare gli accordi stessi, e quindi una maggiore tutela per la parte più debole del rapporto.

1. La riforma del lavoro part-time.

Parlando di cambiamenti ravvicinati mi riferisco, in particolare, all’istituto del PART-TIME: disciplinato in modo organico dal D.lgs. 25 febbraio 2000 n. 61 (secondo quanto la stessa Corte Costituzionale ebbe a riconoscere con sentenza del maggio 2002, n. 210), modificato dal D.lgs. 26 febbraio 2001, n. 100, completamente stravolto dall’art. 46 del D.lgs.10 settembre 2003, n. 276, oggi subisce ad opera della legge 24 dicembre 2007, n. 247 la sua quarta modifica dopo meno di otto anni.

L’interprete non è agevolato dal fatto che tutti gli interventi normativi successivi D.lgs. 25 febbraio 2000 n. 61 si siano “innestati” su quel testo di legge originario, emendandolo con aggiunta e sottrazione di frasi, con un risultato finale non sempre organico (e neppure sempre del tutto chiaro).

C’è subito da dire che l’ultimo intervento compensa parzialmente lo stravolgimento dell’assetto normativo preesistente con il quale il legislatore delegato del 2003 aveva inteso da un lato sminuire il ruolo della contrattazione collettiva nazionale e dall’altro abbassare la soglia legale di tutela del singolo lavoratore, a vantaggio delle presunte esigenze di flessibilità datoriale e a svantaggio delle stesse esigenze di flessibilità del dipendente.

Gli interventi più significativi della legge n. 247/07 riguardano:

a) le clausole flessibili ed elastiche;

b) la disciplina della trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale e viceversa. Diritto incondizionato e diritto di precedenza.

1.a. Le clausole flessibili ed elastiche.

Le clausole flessibili (possibilità di variare la collocazione temporale della prestazione) e quelle elastiche (possibilità, nel part-time verticale e misto, di variare in aumento la durata della prestazione) secondo la previgente disciplina potevano essere concordate tra le parti anche in assenza di disposizioni di contratto collettivo. Oggi invece, a far data dal 1 gennaio 2008, tale accordo individuale - pur sempre necessario: cfr. art. 3 comma 9 del D.lgs. n. 61/2000, rimasto invariato sul punto - è consentito solo se previsto dalla contrattazione collettiva. Quanto ai soggetti collettivi abilitati a ciò, il nuovo testo di legge fa un riferimento ai soli “contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”, avendo eliminato quello alle RSU. Sembrerebbe quindi dedursi che gli accordi di secondo livello validi siano solo quelli stipulati da rappresentanze aziendali aderenti alle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. La contrattazione collettiva può definire “termini, condizioni e modalità” delle clausole elastiche o flessibili (come era già previsto dal comma 7), e quindi anche ampliare il termine minimo di legge di preavviso per l’esercizio da parte del datore di lavoro del potere di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa o di modificare la collocazione temporale della stessa, termine sul quale comunque interviene la nuova normativa: prima erano “almeno due giorni lavorativi” oggi sono “almeno cinque” (nel testo originario del 2000 erano “almeno dieci” ma derogabili dalla contrattazione collettiva fino a 48 ore).

Il testo originario del D.lgs. n. 61/2000 prevedeva, all’art. 3 comma 10 la possibilità per il lavoratore di “denunciare il patto” che ammette le clausole elastiche o flessibili “per le seguenti, documentate ragioni: a) esigenze di carattere familiare; b) esigenze di tutela della salute certificate dal competente Servizio sanitario pubblico; c) necessità di attendere ad altra attività lavorativa subordinata o autonoma” facoltà esercitabile, per le causali di cui alle lettere a) e b), dopo cinque mesi dalla stipulazione del patto con un preavviso di almeno un mese.

La “controriforma” del 2003 aveva abrogato tale facoltà, che non è stata reintrodotta dalla contro-controriforma del 2007, la quale si limita - come si è visto - a riconoscere alla (sola) contrattazione collettiva la possibilità di disciplinare “termini, condizioni e modalità” dei patti elastici e flessibili. Fermo restando che una tale dizione consentirebbe certamente l’inserimento della “clausola di ripensamento” nei contratti collettivi, va detto che questo è già da tempo avvenuto da parte dei principali CCNL, in alcuni casi per le medesime causali di legge ovvero individuandone diverse. Mentre, però, alcuni CCNL hanno stabilito che l’atto di ammissione alla clausole flessibili od elastiche “deve prevedere il diritto del lavoratore di denunciare il patto stesso” (es. CCNL Terziario e Turismo) altri, in termini più moderati, si sono limitati a convenire che “azienda e lavoratore potranno concordare la sospensione temporanea della possibilità di attivare tali clausole” (CCNL Tessili Industria; parlano solo di “sospensione” anche CCNL Grafici Editoria; CCNL Alimentaristi; CCNL Gomma e Plastica).

1.b. I “passaggi” da tempo parziale a tempo pieno e viceversa.

Per quanto riguarda la disciplina della trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno, viene previsto un diritto di precedenza in nuove assunzioni a favore del lavoratore che abbia già avuto un rapporto a tempo pieno poi trasformato, per espletare le stesse mansioni o di tipo equivalente a quelle oggetto di lavoro a tempo parziale (art. 12 ter del nuovo testo del D.lgs. n. 61/2000 modificato dall’art. 1 comma 44 lett. e) della legge n. 247/2007).