Le procedure di regolarizzazione e stabilizzazione nella Finanziaria 2007

ALBERTO PICCININI

Tra i 1364 commi dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge Finanziaria per il 2007) rischiano di non trovare adeguata visibilità quelli finalizzati ad incentivare percorsi di regolarizzazione e riallineamento retributivo e contributivo per il “lavoro nero” ovvero quelli di stabilizzazione in rapporti di lavoro subordinato di prestazioni coordinate e continuative anche a progetto. In realtà va dato atto a questa tanto vituperata legge Finanziaria che su tali materie è riuscita a mettere in cantiere proposte che vanno in controtendenza rispetto ad un processo, le cui dimensioni sono nazionali, di espansione del lavoro precario, attraverso formule che – quantomeno sulla carta – potrebbero far convergere i contrapposti interessi in soluzioni di utilità condivisa. Ma affinché questa opportunità – che può rivelarsi, lo si ripete, interessante anche per il fronte datoriale – venga colta nel breve arco temporale messo a disposizione per godere delle agevolazioni (fino al 30 settembre 2007 per gli accordi di regolarizzazione e fino al 30 aprile 2007 per quelli di stabilizzazione) è necessario che tutti i soggetti protagonisti dei processi, e prime tra tutte le organizzazioni sindacali, si attrezzino per garantire sia che il maggior numero possibile dei lavoratori destinatari dei provvedimenti ne venga a conoscenza, sia che venga rispettata la libertà di adesione agli accordi da parte dei medesimi sia, soprattutto, che non venga data per scontata la dismissione di loro diritti.

Come si è detto il ruolo delle organizzazioni sindacali è fondamentale perché ad esse (in assenza di RSA o RSU) viene attribuito il compito di stipulare accordi aziendali o territoriali che siano la “cornice” degli accordi individuali di contenuto transattivo (anche sul pregresso) da sottoscrivere in sede sindacale o avanti alla DPL (ai sensi degli artt. 410 e 411 del codice di procedura civile) a fronte dell’assunzione a tempo indeterminato per non meno di ventiquattro mesi.

Dunque le due vicende (assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e conciliazione individuale su differenze retributive eventualmente maturate negli anni di “sanatoria”) sono necessariamente connesse, nel senso che non è data la prima senza la seconda, ferma restando, ovviamente, la possibilità per il lavoratore che non vuole transigere di rivolgersi all’Autorità Giudiziaria.

L’istanza presentata all’INPS ai sensi dei commi 1191 e 1193 dal datore di lavoro privato che intende regolarizzare del personale “in nero” presuppone quindi un accordo sindacale che, a mio avviso, nell’alternativa tra dimensione territoriale o aziendale dovrebbe privilegiare quest’ultima, anche in assenza di rappresentanze sindacali o unitarie (ed invero faccio fatica ad immaginare l’esistenza di una rappresentanza sindacale che abbia consapevolmente tollerato la presenza di lavoratori non in regola): in questo caso è infatti previsto che a stipularlo siano le organizzazioni sindacali aderenti alle associazioni nazionali comparativamente più rappresentative. La dimensione aziendale è del resto suggerita dalla circostanza che l’istanza deve contenere “le generalità dei lavoratori” che si vogliono regolarizzare, ed i rispettivi periodi oggetto di regolarizzazione, ed appare difficile immaginare un accordo territoriale con una simile specifica indicazione.

Lo stesso dicasi per gli accordi sindacali finalizzati a promuovere la stabilizzazione di contratti a progetto in essere (evidentemente non con tutti i crismi dell’autonomia…) nelle singole aziende, anch’essi stipulabili dalle rappresentanze aziendali ovvero dalle OO.SS. territoriali. Anche se in questo caso non esiste un elenco di lavoratori, pur tuttavia si presuppone che il sindacato abbia preventivamente interpellato i co.pro presenti nel luogo di lavoro, recependo l’interesse di tutti o di alcuni ad un percorso di “trasformazione” del contratto a progetto in contratto di lavoro subordinato. In questo caso l’accordo aziendale dovrà essere tarato su tali specifiche esigenze, dando agli interessati l’opportunità di utilizzare la “finestra” (che resterà aperta solo il primo quadrimestre dell’anno 2007) e prevedendo quindi le condizioni oggetto degli atti di conciliazione individuali che i singoli vorranno sottoscrivere.

Alla luce di tali considerazioni si deve dedurre che le intese territoriali hanno un senso solo se hanno natura di “intese cornice” delle intese aziendali che ad esse devono ispirarsi.

Ma quale deve essere il contenuto delle seconde e/o delle prime?

Sia negli accordi di regolarizzazione che in quelli di stabilizzazione occorrerà innanzi tutto disciplinare, in modo più preciso possibile, il rapporto futuro, ovverosia il CCNL applicato, l’inquadramento professionale, l’ammontare della retribuzione, l’orario di lavoro e la sua articolazione (che dovrebbero essere tendenzialmente conformi alla situazione precedente), il tipo di contratto di lavoro subordinato. Infatti anche se vengono previsti incentivi finalizzati a favorire il contratto di lavoro a tempo indeterminato, la legge non vieta la possibilità di stipulazione di un contratto a termine (sussistendone i presupposti) né, in ipotesi, di un contratto di apprendistato (che peraltro non troverebbe giustificazione nel caso in cui, ad esempio, una collaborazione coordinata e continuativa si sia protratta per lungo tempo).

E’ evidente che non potrà prevedersi un periodo di prova (essendo stato il lavoratore, sia esso non in regola oppure a progetto, adeguatamente sperimentato) ma sarà anzi opportuno ribadire, anche se previsto dalla legge (commi 1200 e 1210, rispettivamente per la regolarizzazione e per la stabilizzazione), la clausola di durata minima garantita per un periodo non inferiore ai 24 mesi, salve le ipotesi di dimissioni o di licenziamento per giusta causa.

L’accordo sindacale dovrà certo prevedere la regolarizzazione contributiva per il pregresso secondo quanto previsto dalla legge, vale a dire due terzi di quanto dovuto per le regolarizzazioni (comma 1196) e la metà della quota di contribuzione a carico del committente, nella misura dovuta anno per anno per le stabilizzazioni (comma 1205; il comma 1206 prevede poi risorse aggiuntive da parte dell’INPS fino a copertura totale della contribuzione) con le modalità ivi previste (un quinto subito ed il resto in sessanta rate mensili senza interessi per le regolarizzazioni; un terzo subito ed il resto in trentantesei rate mensili per le stabilizzazioni).

Come si è visto l’accordo sindacale dovrà prevedere anche che il verbale di conciliazione individuale regolamenti in via transattiva il pregresso. Non si tratta, in questo caso di un “obbligo a contrarre” ovvero a transigere, bensì di un onere a trattare la conciliazione: nessuna delle due parti è infatti costretta a farlo, ma ciascuna di esse è indotta alla trattativa per poter conseguire, rispettivamente, un vantaggio. Non va infatti dimenticato che il datore di lavoro, oltre a preservarsi dal rischio di ben più pesanti sanzioni per le passate (eventuali) omissioni contributive, trae dall’accordo un’utilità non indifferente anche per il futuro, ove l’assunzione avvenga a tempo indeterminato: è infatti previsto che egli usufruisca del cd. “cuneo fiscale” ovvero di un notevole abbattimento forfetario della base imponibile IRAP (aumentato fino a cinque o sette volte in caso di assunzione di personale femminile) nonché di una significativa deduzione dei contributi INAIL.

Essendo quindi l’accordo individuale nell’interesse di entrambi i contraenti, questo consente al lavoratore e a chi lo rappresenta di far valere le prop