Un lavoratore che si era opposto ad una riduzione dell’orario di lavoro veniva, pochi giorni dopo, licenziato oralmente, con l’accusa di avere ripetutamente molestato sessualmente la sorella della titolare, sua collega di lavoro. Tali accuse erano contenute in una lettera pervenuta al lavoratore circa venti giorni dopo il licenziamento verbale, nel tentativo di “formalizzarlo”. Il Giudice considerava il licenziamento «palesemente illegittimo» non accogliendo però la domanda principale del lavoratore finalizzata ad ottenere il pagamento di tutte le retribuzioni perdute fino alla data di estinzione del rapporto ma solo quella subordinata del risarcimento dei danni di cui all’art. 8 legge n. 604/1966 (accolta, però, nella misura massima di 6 mensilità) Per quanto concerne l’ulteriore domanda risarcitoria da licenziamento ingiurioso il Giudice – anche in considerazione della sentenza penale con la quale il ricorrente era stato assolto dalle medesime accuse con la formula “il fatto non sussiste” – dichiarava la stessa pienamente provata: «l’accusa è in sé infamante e ove falsa, è palesemente integrata la natura ingiuriosa del licenziamento». Il danno veniva valutato equitativamente in L. 5.000.000
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