Con telegramma 29 gennaio 2000 la società Poste italiane SpA invitava una lavoratrice, che a suo tempo aveva presentato domanda di assunzione a tempo determinato, a contattare l'azienda "al fine di accertare il possesso e la veridicità dei requisiti" dichiarati e procedere, in caso di esito positivo, all'assunzione. Peraltro nel corso della visita medica preassuntiva di idoneità da parte del medico competente, quest'ultimo chiedeva alla lavoratrice se fosse in stato di gravidanza, ed avutane risposta affermativa la dichiarava "non idonea al sollevamento di pesi superiori ai cinque chilogrammi ed alla adibizione a turni notturni"; conseguentemente la società rifiutava l'assunzione. La lavoratrice - che, tra l'altro, il giorno successivo si era presentata alla visita già prenotata presso l'Azienda USL Città di Bologna ed era stata dichiarata "idonea alle mansioni proprie dell'Area operativa dell'Ente Poste Italiane" - conveniva in giudizio la società con ricorso proposto ai sensi dell'art. 15 della legge n. 903/1977, lo speciale procedimento sommario previsto dalla legge n. 903/77 sulla falsariga dell'art. 28 dello Statuto dei lavoratori, lamentando la violazione dell'art. 1 della legge n. 903/1977 che vieta espressamente la discriminazione nell'accesso al lavoro delle donne in gravidanza. La società si costituiva negando di essere stata a conoscenza dello stato di gravidanza, e comunque giustificando la mancata assunzione con la "certificata inidoneità ai compiti richiesti". Il Giudice del lavoro, accertando il "carattere palesemente discriminatorio" della mancata assunzione e la conseguente violazione delle disposizioni di legge citate, ordinava alle Poste Italiane di cessare il comportamento illegittimo nonché di rimuoverne gli effetti dando attuazione al rapporto di lavoro, inquadrando l'attrice in mansioni rientranti nell'area operativa confacenti alle condizioni di salute ed allo stato della stessa
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