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Tribunale di Bologna > Contratti a termine
Data: 02/12/2004
Giudice: Dallacasa
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 1137/04
Parti: Bettati Engineering srl / Marco D.
CONTRATTO A TERMINE – MANCATA INDICAZIONE DELLE RAGIONI GIUSTIFICATRICI – ILLEGITTIMITA’


Un dipendente assunto con contratto a tempo determinato ai sensi della nuova normativa (D.lgsl n. 368/01) ha contestato la legittimità del contratto per il fatto che non vi erano specificate le ragioni giustificanti l’apposizione del termine, deducendo la violazione dell’art. 1 comma 2 del decreto legislativo, interpretato nel senso che la forma scritta sia richiesta, oltre che per l’indicazione del termine del rapporto, anche per quella delle ragioni di carattere tecnico, produttivo o sostitutivo che, a tenore del comma precedente, giustificano l’apposizione del termine. La società convenuta ha contestato tale interpretazione rilevando che la seconda indicazione non era espressamente prevista dalla legge. Secondo il Tribunale di Bologna la formulazione del secondo comma “è infelice e tale da giustificare, sul piano dell’esegesi letterale della norma, entrambe le tesi sostenute dalle parti in causa” rendendosi conseguentemente necessario fare ricorso ad altri strumenti interpretativi, che attengono alla funzione di tale disposizione nel contesto della nuova disciplina del lavoro a termine introdotta con il citato decreto legislativo. Secondo il Giudice vi sono due indici logici favorevoli alla tesi del ricorrente: il primo è che, si accogliesse la tesi avversa, la previsione di legge che richiede la specificazione delle ragioni che il precedente primo comma indica con clausola generale, perderebbe qualunque significato e sarebbe priva di sanzione; il secondo indice è costituito dalla discontinuità rispetto alla previsione dell’art. 1 terzo comma della legge n. 230/62 che stabiliva solo: “l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da atto scritto” senza ulteriori postille; e l’inclusione di un ulteriore requisito formale, a parere del Giudice, se si muove dal postulato di un legislatore razionale, dovrebbe significare qualcosa. Sostiene il magistrato che la tesi aziendale dovrebbe senz’altro accogliersi ove si aderisse all’opinione dell’attuale acausalità del contratto di lavoro a termine, e cioè della sua completa liberalizzazione; secondo questa opinione la tendenziale onnicomprensività delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo indicate dal primo comma consentirebbe il ricorso a contratti di lavoro a termine anche in presenza di esigenze non temporanee di impresa. Senonché tale interpretazione non è imposta dal tenore della legge, e sembra possa essere ragionevolmente confutata” per i seguenti motivi. “Innanzi tutto il D.lgsl 368/01 costituisce attuazione della direttiva comunitaria 70/99, nel cui preambolo si ribadisce che la formula comune dei rapporti di lavoro è quella del rapporto a tempo indeterminato; e pertanto un’interpretazione della legge nazionale che non consentisse di cogliere le differenze delle ragioni che giustificano il ricorso all’una piuttosto che all’altra categoria di contratti si porrebbe in contrasto con la regola affermata dalla fonte comunitaria; inoltre l’interpretazione che qui si critica non si armonizza con la disciplina della proroga, perché se si potesse fare ricorso a contratti a termine anche in presenta di esigenze non temporanee, ben difficilmente si potrebbe giustificare un regime limitativo della proroga, che è ammessa una sola volta e che richiede per di più l’individuazione di ragioni oggettive che devono riferirsi alle stesse mansioni già svolte. Riaffermato dunque il carattere causale, ma non tipico (nel senso che non è la legge, né la contrattazione collettiva a dettare le tipologie casuali) dell’apposizione del termine, la previsione espressa del requisito di formale può interpretarsi non come una sbavatura del legislatore, che avrebbe detto di più di quello che voleva, ma come il necessario contrappeso sul piano formale della perdita di garanzia insita nel ricorso ad una tecnica legislativa imperniata su una clausola generale. E cioè: proprio il fatto che la legge rinunci ad una previa elencazione delle esigenze temporanee giustificanti l’apposizione del termine, richiede che esse siano indicate nell’atto stesso con cui il termine viene apposto.” Il Tribunale di Bologna sviluppa il suo ragionamento ritenendo che solo in tal modo il programma aziendale giustifica l’apposizione del termine acquisti la necessaria trasparenza; la causa giustificativa del termine deve essere valutata ex ante, in quanto conosciuta e voluta dalle parti, mentre nulla esclude che ex post possa essere fabbricata ad arte, od anche oggettivamente rinvenuta, una causale però che non fu né prevista né voluta dalle parti contraenti. Per questi motivi il termine apposto nel contratto di cui è causa viene dichiarato dal Giudice privo di effetto e il contratto stesso a tempo indeterminato, con gli effetti che scaturiscono non già dall’art. 18 della legge n. 300/70, ma dalla continuità del rapporto oltre il termine inefficace. In senso analogo si era pronunciato Trib. Ravenna G.U. con sentenza del 7.10.2003 (Est. Mazzini in Il Lav. nella Giur. N. 12/2004, p.1283)




Tribunale di Bologna > Contratti a termine
Data: 04/04/2006
Giudice: Dallacasa
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 334/06
Parti: C. / X s.n.c.
CONTRATTO A TERMINE PER PRETESA SOSTITUZIONE DI LAVORATORI IN FERIE - MANCATA PROVA DA PARTE DEL DATORE DI LAVORO: NULLITA’ DEL TERMINE - INDISPONIBILITA’ AD UNA NUOVA ASSUNZIONE A TERMINE – VALORE DI RISOLUZIONE DEL RAPPORTO PER MUTUO CONSENSO: INSU


Una lavoratrice ha chiesto accertarsi la nullità del termine apposto ai contratti di lavoro sottoscritti con Autostrade per l’Italia in un arco di tempo tra il giugno 1989 e il maggio 2002, di cui il primo con durata di tre mesi motivato dalla necessità dell’espletamento del servizio in concomitanza di assenza per ferie. La società resistente ha eccepito, preliminarmente, l’esistenza di un mutuo consenso allo scioglimento del rapporto, avendo la lavoratrice dichiarato la propria indisponibilità ad essere assunta con contratto a tempo determinato in replica all’ennesima chiamata al lavoro, ed avendo inoltre rilasciato delle quietanze liberatorie alla cessazione di ogni contratto a termine. Questi comportamenti sarebbero incompatibili con la pretesa alla continuità ininterrotta del rapporto di lavoro ed implicherebbe necessariamente adesione della lavoratrice alle disdette dei rapporti. Rispetto a tale eccezione il Tribunale ha precisato che perché si possa parlare di una volontà rettamente formata in relazione all’oggetto di causa, occorrerebbe che la ricorrente fosse a conoscenza della supposta costituzione di un rapporto a tempo indeterminato: “e pertanto ogni manifestazione di volontà della ricorrente, sia essa espressa o tacita, non può che produrre effetti entro l’economia dei contratti formalmente intercorsi tra le parti, e quindi con riguardo ai diritti e facoltà in essi contemplati”. Venendo al merito, il Giudice, dopo aver osservato che le ipotesi previste dall’art. 2 del contratto collettivo si aggiungono a quelle già previste dalla legge, e conseguentemente escluso che sia richiesto il requisito dell’indicazione, nel contratto di lavoro a termine, del nome del lavoratore sostituito e della causa della sostituzione, ha peraltro ritenuto “che debba essere fornita la prova delle necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenza per ferie, e cioè del nesso causale tra le assenze per ferie e l’assunzione a termine”. Ciò premesso, ha ritenuto non provata la causale invocata, in quanto nessuno dei tabulati relativi alla stazione presso la quale era stata addetta la lavoratrice riguardava il periodo contemplato nel primo contratto a termine, e che doveva considerarsi generica la prova testimoniale richiesta “perché non viene fornita alcuna informazione sul numero di ore lavorate, sul numero e sull’identità dei lavoratori assenti e sostituiti”. Conseguentemente ho dichiarato nullo il termine apposto al primo contratto e che il rapporto doveva ritenersi a tempo indeterminato sin dall’inizio, condannando la società al pagamento della retribuzione a far data dalla notifica del ricorso introduttivo del giudizio.




Tribunale di Bologna > Contratti a termine
Data: 17/03/2010
Giudice: Palladino
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 191
Parti: XX YY
CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO – INERZIA NELL’AZIONE GIUDIZIARIA - RISOLUZIONE PER MUTUO CONSENSO: INSUSSISTENZA – MANCATA INDICAZIONE DEL NOMINATIVO DEL DIPENDENTE SOSTITUITO: ILLEGITTIMITA’ - PROVA DELLE CAUSALI


Artt. 1 e 2 legge 230/1962

Art. 23 legge 56/1987

 

Il Tribunale di Bologna accoglie il ricorso proposto da un lavoratore al fine di ottenere l’accertamento dell’illegittimità dei contratti a termine, stipulati per ragioni sostitutive e la conseguente condanna alla costituzione del rapporto a tempo indeterminato ed al risarcimento del danno.Autostrade per l’Italia spa si costituiva in giudizio eccependo la risoluzione del contratto per mutuo consenso avendo il ricorrente atteso anni dalla cessazione dell’ultimo contratto prima di proporre il tentativo obbligatorio di conciliazione e affermando comunque la legittimità dei contratti per sussistenza delle causali apposti. Il Giudice, in accoglimento del ricorso, si sofferma anzitutto sull’eccezione di risoluzione per mutuo consenso, osservando che “…può parlarsi di manifestazione di volontà solo quando il comportamento tenuto appaia inequivoco; orbene, nella fattispecie, l’inerzia del lavoratore può essere determinata da molteplici ragioni, per esempio dalla inconsapevolezza dei propri diritti o dalla speranza di conseguire nuovi contratti con la società resistente”.

In merito poi alle causali apposte ai contratti ovvero ragioni sostitutive, la sentenza in commento afferma “..l’onere di specificazione impone che, tutte le volte in cui l’assunzione avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, risulti per iscritto anche il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione…solamente in questa maniera, infatti, l’onere imposto alla parti che intendono stipulare un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato può realizzare la propria finalità, che è quella di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stesa nel corso del rapporto”.

Considerato inoltre che, nello specifico, la causale aveva ad oggetto, come previsto dal CCNL applicabile, sostituzione di dipendenti assenti per ferie, il Giudice precisa che “la causale in questione, desunta dal CCNL che la prevede in attuazione della legge n. 56 del 1987, non si sottrae  alle esigenze di specificazione ed individuazione sopra evidenziate, dovendo sempre essere assicurata la possibilità di controllo della veridicità della motivazione”.

 




Tribunale di Bologna > Contratti a termine
Data: 18/06/2009
Giudice: Palladino
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 253/09
Parti: Carmela C. contro Ministero Istruzione Università Ricerca (MIUR), Ufficio Scolastico Regionale (USR) per l’Emilia Romagna, Ufficio Scolastico Provinciale (USP) di Modena e Istituto di Istruzione Superiore “Agostino Paradisi”
CONTRATTO DI LAVORO INTERINALE – CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE A TEMPO DETERMINATO – CAUSALI – GENERICITA’ – ILLEGITTIMITA’ – NECESSARIA TEMPORANEITA’ DELLE ESIGENZE GIUSTIFICATIVE


La causa riguarda tre lavoratori che hanno chiesto al Tribunale di Bolognal’accertamento dell’illegittimità dei contratti di lavoro interinale e poi di somministrazione a termine e la conseguente condanna alla costituzione del rapporto a tempo indeterminato ed al risarcimento del danno. Telecom Italia spa si costituiva in giudizio contestando le pretese dei lavoratori.

I lavoratori avevano iniziato a prestare la propria attività lavorativa con contratti di lavoro interinali giustificati dalla motivazione di “incrementi di attività in dipendenza di eventi eccezionali..” o di “fabbisogno di maggiore organico connessi a situazione di mercato congiunturali e non consolidabili”.

Il Giudice, in accoglimento dei ricorsi, si sofferma in particolare sulla genericità delle formule usate a giustificazione dei contratti di lavoro, osservando che “trattasi di motivazioni assolutamente generiche, tali da non consentire, né al lavoratore all’atto di stipulazione del contratto, né successivamente al giudice, di compiere verifiche o controlli di sorta sull’effettività di situazioni di fatto che non vengono neppure individuate: ciò costituisce di per sé causa di nullità dei contratti essendo palesemente violato l’obbligo di motivazione”.

Inoltre, anche al di là di tale rilievo formale, aggiunge la sentenza in commento come “al fine di attribuire significato al requisito della temporaneità delle esigenze giustificatrici del ricorso al lavoro temporaneo, occorre fare riferimento ad una nozione relativa e non assoluta; occorre cioè verificare se la situazione dedotta corrisponda effettivamente ad esigenze transeunti e legate ad un momento particolare dell’andamento economico e del mercato, oppure se si riferisce ad una situazione potenzialmente e prevedibilmente duratura, tale da escludere la finalità, meramente transeunte, dell’utilizzazione della prestazione e da condurre a negare una differenziazione del lavoratore temporaneo e quella dei lavoratori a tempo indeterminato




Tribunale di Bologna > Contratti a termine
Data: 18/12/2010
Giudice: Sorgi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento:
Parti: XXX / POSTE ITALIANE SPA
CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO – INERZIA NEL PROPORRE RICORSO -RISOLUZIONE PER MUTUO CONSENSO – INSUSSISTENZA - ART. 2, COMMA 1 BIS D.LGS. 368/2001 - ILLEGITTIMITA’ PER CONTRASTO CON LA NORMATIVA COMUNITARIA IN MATERIA DI CONTRATTI A TERMINE – DISAPPLICAZ


Artt. 1 e 2, comma 1 bis d.lgs. 368/2001

Direttiva 99/70/CE

 

Il Tribunale di Bologna ha disapplicato la normativa interna in materia di contratti a termine riservata a Poste italiane per contrasto con la disciplina comunitaria, accogliendo il ricorso proposto da un lavoratore al fine di ottenere l’accertamento dell’illegittimità dei contratti a tempo determinato stipulati tutti ai sensi dell’art. 2, comma 1 bis del d.lgs. 368/2001 e la conseguente condanna alla costituzione del rapporto a tempo indeterminato ed al risarcimento del danno.

Poste Italiane spa si costituiva in giudizio contestando le pretese del lavoratore, eccependo la risoluzione del contratto per mutuo consenso e affermando comunque la legittimità dei contratti.

Il Giudice, in accoglimento del ricorso, si sofferma anzitutto sull’eccezione di risoluzione per mutuo consenso, osservando che “il mero trascorrere del tempo non sia, di per sé, elemento sintomatico della volontà del lavoratore di rinunciare all’azione di nullità del termine ed al conseguente ripristino del rapporto, posto che la imprescrittibilità dell’azione di nullità del contratto impedisce di attribuire all’inerzia dell’avente diritto un significato abdicativo dei propri diritti”.

Quanto al merito, la pronuncia si inserisce in un ampio contenzioso che ha ad oggetto l’interpretazione dell’art. 2, comma 1 bis del d.lgs. 368/2001, introdotto con l’art. 1, comma 558 della legge 266/2005 (legge finanziaria per l’anno 2006)  che consente a Poste Italiane spa, dal 1 gennaio 2006, l’assunzione a termine di lavoratori, nella misura del 15% dell’organico, senza necessità di specificare le causali dell’assunzione (si veda Tribunale di Modena sentenza 19 gennaio 2010 est. Ponterio, già commentata in q. rivista; Corte d’Appello di Milano 13.4.2010, Tomera Irene c/ Poste Italiane spa, Cons. est. Dott.ssa Angela Cincotti; Tribunale di Trani, sentenza 16.11.2009, est. Dott.ssa Antonietta La Notte Chirone; Tribunale di Siena, sentenza 23.11.2009, est.  Dott. Delio Cammarosano; Tribunale di Roma, sentenza 31.3.2009, est. Dott.ssa Donatella Casari; Tribunale Milano, sentenza 9.10.2009, est- Dott.ssa Graziella Mascarello).

Sulla questione, come rilevato dal Giudice bolognese, si è pronunciata, con sentenza n. 214/2009, la Corte Costituzionale, a seguito di ordinanza di rimessione del 26.2.2008 del Tribunale di Roma, ritenendo infondata la questione di legittimità rispetto all’art. 3 della Cost.

E’ poi anche intervenuta anche la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, che, con ordinanza resa in data 11.11.2010 (pubblicata successivamente alla sentenza in commento), ha dichiarato compatibile la norma in questione con la normativa comunitaria in materia di contratti a termine, poiché la Direttiva 1999/70 non disporrebbe obblighi circa l’enunciazione di ragioni obiettive per la stipulazione del primo o unico contratto a tempo determinato, applicandosi la clausola 5 dell’accordo quadro 18.3.1999 unicamente all’ipotesi della successione di contratti.

Il Giudice, in accoglimento del ricorso, si sofferma sui profili di incompatibilità dell’art. 2, comma 1 bis con la disciplina comunitaria del contratto a termine, richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia ed in particolare la sentenza Mangold e la sentenza Angelidaki. Il Tribunale rinviene detto contrasto con l’art.. 5 e con l’art. 8.3 della direttiva 99/70/CE, affermando “la espressa previsione legislativo della possibilità di concludere contratti a termine anche successivi non costituisce di per sé ragione obiettiva e non rappresenta una valida garanzia contro gli abusi nella reiterazione dei contratti…I”.

Il Giudice poi rinviene il contrasto della disposizione nazionale anche rispetto all’art. 8.3 della direttiva CE sulla base delle seguenti argomentazioni “la norma in esame non richiedendo ì, per l’apposizione del termine, diversamente che per il passato, alcuna valida ed oggettiva ragione giustificativa, ha certamente ridotto il livello generale di tutela dei dipendenti della spa Poste Italiane posto che la sua previsione di una durata massima e di una quota percentuale dell’organico complessivo non è in grado di compensare l’arretramento di tutela subito dai dipendenti della società convenuta, per il venire meno della necessità delle ragioni oggettive posto che il precedente assetto normativo era quello ricavabile dall’art. 23 della legge n. 26 del 1987.

Per tutte tali motivazioni con la sentenza in commento il Giudice ha disapplicato la normativa interna e dichiarato illegittimi i contratti a termine.




Tribunale di Bologna > Contratti a termine
Data: 11/11/2010
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 422/2010
Parti: Alessandra B. – SERENISSIMA RISTORAZIONE Spa
ACCERTAMENTO NULLITA’ del TERMINE APPOSTO AL CONTRATTO DI LAVORO e CONSEGUENTE RIPRISTINO del RAPPORTO di LAVORO – CONTESTAZIONE della GENUINITA’ dei CONTRATTI A PROGETTO – RECUPERO CREDITI.


Art. 1 D. Lgs. 368/ 2001

Art. 69 D. Lgs. 276/2003

 

Con ricorso ex art. 414 c.p.c. la signora Alessandra B. esponeva a) di aver stipulato con la Serenissima Ristorazione Spa due contratti a progetto, il primo dal 26.4.2004 al 31.12.2004 e il secondo dal 1.1.2005 al 30.6.2005, per il quale era stato previsto un compenso mensile di Euro 1.761,00; b) di aver quindi stipulato con la Serenissima Ristorazione Spa un nuovo contratto, in questa occasione a termine e con decorrenza dal 1.7.2005 al 31.12.2005, per il quale invece era stata previsto una mensile di Euro 1.413,31; c) di aver sempre effettuato – a dispetto dei formali inquadramenti dei rapporti che si erano succeduti con la società datrice – ordinaria attività impiegatizia e contabile di tipo subordinato relativa alla gestione amministrativa dei bar e delle mense della Serenissima presenti su Bologna, svolgendo la propria prestazione di lavoro senza alcuna correlazione con progetti specifici, programmi o esigenze temporanee; d) di aver sempre svolto la medesima attività, con le medesime modalità operative, essendo assegnata alle medesime mansioni e con il medesimo inquadramento. 

La lavoratrice conveniva pertanto la Serenissima per chiedere che venisse riconosciuta la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato dal 26.4.2004 al 31.12.2005, la nullità del termine apposto al contratto con decorrenza 1.7.2005 con la conseguente riammissione in servizio come impiegata di 4° livello del CCNL applicato dalla convenuta e assegnazione alle mansioni precedentemente svolte; la lavoratrice richiedeva altresì la condanna della società al risarcimento del danno commisurato alle mensilità perdute dalla cessazione del contratto a termine fino alla data dell’effettivo ripristino del rapporto di lavoro, oltre che al pagamento della complessiva somma di Euro 10.066,79, oltre interessi e rivalutazione, per differenze retributive tra quanto percepito e quanto di diritto, oltre al pagamento della somma di Euro 9.949,20, con interessi e rivalutazione, a titolo di rimborso spese per i costi derivanti dall’utilizzo del proprio mezzo per l’espletamento delle mansioni di sua competenza. In subordine, e rispetto alla richiesta di riammissione in servizio, la lavoratrice chiedeva la condanna della convenuta al pagamento della indennità sostitutiva del preavviso.

Radicatosi il contraddittorio, la convenuta Serenissima Ristorazione Spa chiedeva, in via preliminare, che venisse dichiarata la nullità del ricorso per mancanza dei requisiti richiesti dall'art 414, cc, 3) e 4) e, quindi, che venisse rigettata ogni domanda della ricorrente. All’esito dell’istruttoria il Tribunale decideva la causa, rilevando, in primis, l’infondatezza della eccezione di nullità del ricorso per mancata indicazione da parte della ricorrente del contratto collettivo applicato a applicabile e disciplinante l’attività svolta, formulata dalla società. Ribadiva infatti il Giudicante che la nullità del ricorso ex art. 414 c.p.c. poteva derivarsi solo dalla omissione o dalla totale incertezza del petitum, sotto il profilo sostanziale e processuale, nel senso che non ne sia possibile l’individuazione, attraverso l’esame complessivo dell’atto, rinviando sul punto alla consolidata giurisprudenza della Suprema Corte (ex multis, Cass. 8839/02, Cass. 4889/02, Cass. 4296/98).

Il Giudice precisava che la eventuale mancata indicazione del contratto collettivo nel ricorso introduttivo di una causa di lavoro - con il quale, sulla base della asserita prestazione di lavoro subordinato, fossero stati chiesti conguagli retributivi - non avrebbe potuto incidere sulla determinazione dell'oggetto della domanda e non comporta quindi la nullità del ricorso. (Cfr. Cass., Sez. un., n. 3105/85; Cass. 818/89 n. 818; Cass. n. 4889/02).

Il Tribunale evidenziava che la società convenuta non aveva neppure prospettato quale incidenza aveva avuto sull'esercizio del suo diritto di difesa la mancata indicazione del contratto collettivo applicabile, considerando peraltro che la società convenuta aveva ampiamente argomentato su tutte le questioni poste dalla ricorrente, così compiutamente esercitando il suo diritto di difesa: di qui l’impossibilità di dichiarare la nullità del ricorso introduttivo essendosi ritualmente instauratosi il contraddittorio, in senso formale e sostanziale, e, cioè, avendo raggiunto il detto ricorso lo scopo cui era preordinato.

Quanto alle questioni di merito, il Giudice dichiarava la nullità dell'apposizione del termine al contratto stipulato in data 1 luglio 2005, in quanto privo delle indicazioni di cui all'art. 1, comma 1, del d. legs. n. 368 del 2001. In particolare, il Tribunale evidenziava che l’introduzione della c.d. causale generale o causale aperta – da parte della norma appena più sopra richiamata – rappresentando una radicale innovazione rispetto alla disciplina previdente e valorizzando la volontà delle parti contraenti nella concreta identificazione, volta per volta, di una di tali ragioni giustificanti l'apposizione del termine – impone tuttavia la espressa specificazione delle stesse, come da consolidata dottrina e giurisprudenza (cfr., tra le tante, Trib. Milano, 21 giugno 2002, Trib. Roma, 3 febbraio 2005; Trb. Genova, 16 settembre 2005; Trib. Firenze 5 febbraio 2004; App. Milano, 9 dicembre 2003).

Il Giudice rappresentava inoltre la necessità che tale specificazione fosse precisa e puntuale, correlata al caso concreto, senza la possibilità di utilizzare clausole di stile o generiche o consistenti nella semplice ripetizione del dettato normativo, in quanto la specificazione dei motivi “è strettamente dipendente al venire meno di una preventiva - a livello legislativo o di contrattazione collettiva - determinazione dei casi in cui era possibile apporre il termine al contratto di lavoro…..” e ciò “… in funzione di quella che risulta essere l'ulteriore ratio di tutela della norma: quella, cioè, di garantire il controllo del lavoratore circa la effettiva esistenza della ragione giustificatrice del termine e quella di garantire il successivo, eventuale controllo giudiziale, con delimitazione del perimetro di tale valutazione”.

Sul punto il Tribunale rinviava alla giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. Cass. n. 1576-1577/10, n. 2279/10, n. 10175/10 e n. 10033/10), che ha posto in relazione tale obbligo di specificazione non solo con un principio di effettività, ma anche con la c.d. clausola di non regresso della Direttiva Europea, poiché “una interpretazione dell'obbligo di specificazione tale da non consentire il predetto controllo di effettività delle esistenza delle ragioni giustificatrici della apposizione del termine risulterebbe essere in contra




Tribunale di Bologna > Contratti a termine
Data: 15/09/2011
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 814/11
Parti: Alessandro P. – AUTOSTRADE PER L’ITALIA Spa
ACCERTAMENTO della NULLITA’ dei TERMINI APPOSTI AI CONTRATTI DI LAVORO, con CONSEGUENTE RIPRISTINO DEL RAPPORTO DI LAVORO – IMPUGNAZIONE SUCCESSIVA AL 23 GENNAIO 2011 - DECADENZA EX ART. 32 L. 183/10: INSUSSISTENZA


Art. 1 D. Lgs. 368/ 2001

Art. 32 L. 183/10

Art. 52 del D.L. n. 225/2010 convertito nella legge  n. 10/2011

 

Con ricorso depositato al Tribunale del lavoro di Bologna in data 23.1.11 un lavoratore esponeva di aver stipulato con Autostrade per l’Italia Spa diversi contratti a termine con decorrenza 4.4.97/23.10.97, 6.4.98/30.9.98 prorogato al 31.1.99, 29.5.99/28.10.99, 1.6.00/15.9.00, 1.10.00/31.10.00, 1.6.01/30.9.01, tutti per l’espletamento delle mansioni di esattore dei pedaggi, con inquadramento nel 4° livello prima e nel livello C poi, del CCNL applicato dalla società, nell’ambito del Terzo Tronco di Bologna; il lavoratore chiedeva pertanto l’accertamento della sussistenza di un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la società Autostrade per l’Italia Spa fin dal primo dei contratti a termine intercorsi con la stessa, con inquadramento nel livello posseduto. Il ricorrente formulava altresì domanda di ripristino della piena funzionalità del rapporto di lavoro, di condanna della società alla corresponsione delle retribuzioni maturate nei periodi di mancata prestazione lavorativa dalla cessazione del primo contratto a termine intercorso in poi, fino alla data della effettiva riassunzione e, in via aggiuntiva – o subordinatamente al mancato accoglimento della richiesta di pagamento delle retribuzioni perdute medio tempore – al pagamento dell’indennità di cui al comma 5, art. 32 della L.183/10. Il ricorrente formulava infine - ed in subordine al mancato accoglimento della domanda relativa alla condanna della società al pagamento delle retribuzioni perdute - istanza di rimessione alla Corte Costituzionale quanto alla legittimità costituzionale dell’art. 32, co. 5, 6, 7, della L.183/10 per contrasto con gli artt. 3, 36, 24, 111, 117 e 136.Cost..

La società si costituiva contestando tutto quanto ex adverso prospettato, chiedeva il rigetto di tutte le domande del ricorrente ed eccepiva preliminarmente l’inammissibilità della domanda di accertamento della nullità dei termini, l’impugnazione degli stessi essendo intervenuta successivamente al termine di decadenza introdotto dall’art. 32 della L. 183/10, ovvero 60 giorni dall’entrata in vigore della norma stessa. La società rilevava altresì che la domanda doveva ritenersi inammissibile per aver il ricorrente rinunciato a quanto richiesto con il ricorso introduttivo del giudizio, per aver mostrato disinteresse alla stipulazione di un ulteriore contratto a termine e per l’intervenuta acquiescenza dallo stesso manifestata alla risoluzione del rapporto di lavoro, ritenuto il lungo periodo di tempo intercorso tra la scadenza del’ultimo dei contratti a termine stipulati con la società (30 settembre 2001) ed il deposito del ricorso giudiziario (29 aprile 2011). 

Il Tribunale di Bologna ha ritenuto infondata l’eccezione di decadenza formulata dalla società convenuta, con una articolata argomentazione che, di seguito, si ripropone.

In premessa, l’organo giudicante ha rilevato che la previsione di un termine di decadenza per l’esercizio dell’azione volta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto ad un contratto di lavoro è stata introdotta, per la prima volta nel nostro ordinamento, con l’entrata in vigore – alla data del 24.11.10 – delle disposizioni di cui al comma 4, lett. a) e b) dell’art. 32 L. 183/10. 

A parere del Tribunale di Bologna, “tale nuova previsione normativa è, tuttavia, destinata ad entrare in vigore dal prossimo 1 gennaio 2012.

Il Giudice ha precisato infatti che, in virtù del co. 52 del D.L. 29.12.10, n. 225 – c.d. “decreto mille proroghe” - convertito nella legge 10 del 26.2.2011, all’art. 32 è stato aggiunto il comma 1 bis, secondo cui “in sede di prima applicazione, le disposizioni di cui all’art. 6, 1° co. della L. 604/66, come modificato dal presente articolo, relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, acquistano efficacia a de correre al 31.12.2011”.

Secondo il Giudice, nonostante la formulazione della norma e la sua collocazione svelino l’intenzione del legislatore di rinviare nel tempo unicamente le decadenze in materia di licenziamento, “il coordinamento sistematico della nuova disposizione con le altre contenute nel medesimo articolo 32 conduce a diverse conclusioni. Deve, infatti essere considerato che l’operazione posta in essere dal legislatore sul regime delle decadenze con l’art. 32 citato è stata realizzata mediante la riscrittura dei primi due commi dell’art. 6 della L. 604/66. Le disposizioni contenute negli originari commi 1 e 2 dell’art. 6 sono state  raggruppate nel nuovo primo comma ed è stata inserita, nel nuovo secondo comma, una norma del tutto innovativa, volta a disciplinare il nuovo e complesso sistema delle decadenze”. 

Ciò premesso, secondo il Tribunale adito, il legislatore ha disciplinato il regime delle decadenze per il tempestivo esercizio dell’azione giudiziaria relativa alla nullità del termine estendendo ai contratti a tempo determinato l’applicazione delle disposizioni del novellato art. 6 della L. 604/66 e conseguentemente, dalla data di entrata in vigore della l. 183/10 – ovvero dal 24 novembre 2010 – tutti i contratti a termine sarebbero stati assoggettati alla nuova disciplina prevista per l’impugnazione dei licenziamenti: termine di 60 giorni dalla loro scadenza o, per quelli già cessati all’entrata in vigore della novella legislativa, entro 60 giorni dalla stessa, cui avrebbe dovuto seguire nei successivi 270 giorni l’esperimento dell’azione giudiziaria.




Tribunale di Bologna > Contratti a termine
Data: 20/07/2011
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 746
Parti: X. v. Verdefrutta Srl
CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO – RECESSO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO PRIMA DELLA SCADENZA – ILLEGITTIMITA’ – RISARCIMENTO DEI DANNI NELLA MISURA PARI ALLE RETRIBUZIONI FINO ALLA SCADENZA DEL TERMINE.


Un lavoratore, premesso di essere stato assunto in data 11 agosto 2009 con contratto a tempo determinatosino all'11 agosto 2010 secondo il C.C.N.L. Commercio Terziario e di essere stato licenziato, con lettera datata 14 aprile 2010, per la riduzione dell'attività lavorativa - e, dunque, per giustificato motivo oggettivo - assumendo l'illegittimità del recesso dal contratto a termine (non essendo fondato su giusta causa) ha convenuto in giudizio Verdefrutta S.r.l. chiedendone la condanna, previo accertamento dell'illegittimità del licenziamento impugnato, al risarcimento del danno per l'anticipato recesso quantificato nell'importo delle retribuzioni perdute. Alla prima udienza il giudice invitava i difensori a discutere la causa e quindi pronunciava sentenza della quale veniva data contestuale lettura del dispositivo e dei motivi di diritto della decisione.

Il giudice, presa visione della documentazione relativa  ad un contratto a tempo determinato con scadenza 11 agosto 2010, constata che con lettera datata 14 aprile 2010 la società datrice di lavoro ha comunicato al lavoratore che "a causa di una forte riduzione dell'attività lavorativa dovuta alla crisi congiunturale del settore" era costretta ad intimare il licenziamento con cessazione del rapporto di lavoro alla data del 30 aprile 2010. Chiamata in giudizio dal dipendente, la datrice di lavoro ha ribadito che il recesso era stato adottato in conseguenza di un'improvvisa contrazione dell'attività aziendale, avendo la società - operante nel commercio all'ingrosso di prodotti ortofrutticoli e fornitore per conto di Concerta S.p.A. di importanti unità di ristorazione - in conseguenza di una variazione nella compagine sociale della committente, perduto gran parte degli ordini affidati ad altri operatori economici.

Ciò premesso, osserva il Tribunale di Bologna “che i contratti a tempo determinato, a differenza di quelli stipulati a tempo indeterminato, obbligano le parti alla loro esecuzione sino alla scadenza del termine posto al contratto e che, di conseguenza, il recesso può essere adottato, da entrambe le parti del rapporto - datore di lavoro e lavoratore - ai sensi della disciplina generale di cui all'articolo 2119 del codice civile solo nell'ipotesi di giusta causa: il recesso "ante tempus", in mancanza di una giusta causa ai sensi dell'art. 2119 cod. civ., è illegittimo per violazione del termine contrattuale e obbliga il recedente al risarcimento integrale del danno, da liquidarsi secondo le regole comuni di cui all'art. 1223 cod. civ.. Ciò in quanto il lavoratore ha diritto alla retribuzione fino alla scadenza del termine, oltre al risarcimento degli ulteriori danni, con detrazione - ove il datore di lavoro ne fornisca la prova - di quei guadagni che il lavoratore abbia eventualmente conseguito da un'occupazione successiva al licenziamento o avrebbe potuto conseguire se non fosse stato negligente nel reperire altra occupazione (cfr., in tema di contratto di formazione e lavoro che costituisce una species rientrante nel genus del contratto a tempo determinato, Cass. 2822/97 e n. 16849/03).

Richiama poi il giudice una recente decisione (n. 3276/09) del supremo Collegio secondo cui “il rapporto di lavoro a tempo determinato, al di fuori del recesso per giusta causa di cui all'art. 2119 cod. civ., può essere risolto anticipatamente non già per un giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3 della legge n. 604 del 1966, ma soltanto in presenza delle ipotesi di risoluzione del contratto previste dagli artt. 1453 e ss. cod. civ.. Ne consegue che, qualora il datore di lavoro proceda ad una riorganizzazione del proprio assetto produttivo, non può avvalersi di tale fatto per risolvere in anticipo un contratto di lavoro a tempo determinato.

Nella motivazione si legge quanto segue: la disciplina di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604 non si applica, per espressa previsione della stessa, ai rapporti di lavoro a tempo determinato” Quindi, al di fuori dell’ipotesi di giusta causa, ove venga addotta come motivo del recesso ante tempus una riorganizzazione dell'assetto produttivo, deve necessariamente farsi riferimento alle normali regole dei contratti, in forza delle quali non è consentito ad una delle parti contraenti assumere iniziative che eventualmente rendano non più (o meno) utile la prestazione della controparte. In altri termini, se in un rapporto per il quale non sia previsto preventivamente un limite di durata e sia assistito dalla garanzia di una stabilità (più o meno intensa), può pensarsi che sopravvengano delle ragioni, che rendano oggettivamente non più conveniente mantenere in vita il rapporto, ciò non vale quando la durata sia limitata nel tempo, soprattutto se è il datore che, in considerazione di particolari sue esigenze, si avvalga dello strumento del contratto a termine.

In base a tale principio di diritto, consegue l'irrilevanza di ogni indagine volta ad accertare l'esistenza del giustificato motivo oggettivo posto a fondamento del recesso, dovendosi, soltanto, puntualizzare che, nella fattispecie in esame, non ricorre alcuna ipotesi legittimante la risoluzione del contratto di lavoro secondo i principi generali sanciti dagli articoli 1453 e seguenti del codice civile. In particolare viene esclusa l'ipotesi della sopravvenuta impossibilità totale della prestazione, di cui all'articolo 1463 c.c., dal momento che la società convenuta ha regolarmente continuato a svolgere la propria attività anche dopo la comunicazione al lavoratore del recesso.

Nè può rilevare che il licenziamento troverebbe causa in una improvvisa ed inaspettata contrazione dell'attività aziendale dovuta ad una perdita consistente degli ordinativi da parte del principale committente e, cioè, da parte di Concerta S.p.A. Trattasi, infatti, di una asserita situazione di crisi aziendale che avrebbe determinato la necessità di ridimensionare l'attività commerciale, cui sarebbe conseguita l'esigenza di sopprimere il posto di lavoro del dipendente. Pertanto, i fatti posti a fondamento del recesso non possono che integrare - astrattamente - un giustificato motivo oggettivo di licenziamento e non l'ipotesi della sopravvenuta impossibilità totale della prestazione di cui all'articolo 1463 c.c.

Il Tribunale di Bologna dichiara pertanto illegittimo il licenziamento intimato, condannando la società al risarcimento del danno da quantificare nelle retribuzioni perdute dal lavoratore tra la data di cessazione del rapporto (30 aprile 2010) e la data di scadenza del termine inizialmente apposto al contratto di lavoro (11 agosto 2010). La somma liquidata titolo di risarcimento del danno, maggiorata degli interessi e rivalutazione dal 30 aprile 2010, non è stata destinata a subire alcuna diminuzione, non avendo il datore di lavoro né allegato n