Ricerca Avanzata
   Tribunale di Bologna
   Tribunali Emilia-Romagna
   Corte d'Appello di Bologna
   Lo Studio nelle Alte Corti
 
Tribunale di Bologna > Processo
Data: 08/10/2006
Giudice: Dallacasa
Tipo Provvedimento: Ordinanza
Numero Provvedimento:
Parti: Cristuan D + altri /Milpass s.r.l
INOTTEMPERANZA AD ORDINE DI REINTEGRA NEL POSTO DI LAVORO – RICORSO AL GIUDICE PERCHÈ NE DETERMINI L’ATTUAZIONE – AMMISSIBILITÀ E LIMITI.


Art. 669 duodecies cod. proc. civ.

A seguito di un ordinanza di reintegrazione nel posto di lavoro emessa dal Tribunale di Bologna all’esito di un procedimento d’urgenza, la società datrice provvedeva esclusivamente all’iscrizione nei libri matricola del lavoratore, nonché al pagamento della retribuzione e dei contributi, ma non alla sua effettiva reintegra. Conseguentemente il dipendente ricorreva nuovamente al Giudice affinché provvedesse a determinare le modalità di attuazione dell’esecuzione in forma specifica del provvedimento cautelare. Il Tribunale, dopo aver dato atto che sulla fungibilità dell’ordine di reintegra esiste un’opinione prevalente negativa, osserva che ciò che è veramente fungibile è l’atto di organizzazione dell’impresa con cui al lavoratore vengono assegnate le mansioni da svolgere, e quelli successivi con i quali egli viene diretto dal datore nello svolgimento dell’impresa: tali atti possono essere compiuti solo dall’imprenditore, che non può essere sostituito coattivamente da un terzo in quanto questi, ingerendosi nell’impresa, non ne sopporterebbe il rischio. Ciò che può invece essere coattivamente attuato è l’ingresso del lavoratore nell’azienda, che è un diritto del lavoratore, prodromico alla prestazione del lavoro, e che quindi può essere inteso come atto iniziale di attuazione dell’ordine di reintegra: la sua presenza costituisce un mero pati e da ciò deriva la sua eseguibilità coattiva. Una volta inserito fisicamente nel luogo di lavoro egli dovrà conformarsi alle prescrizioni dettate dal datore di lavoro; d’altro canto, ove la sua presenza fosse volutamente ignorata, si applicheranno i principi generali del neminem laedere analogamente a quanto avviene con qualsiasi dipendente.

Ciò premesso, il Giudice ordina alla società datrice di consentire al lavoratore l’ingresso nel luogo di lavoro ove prestava servizio prima del licenziamento e di dare esecuzione al provvedimento di reintegra nelle forme di legge, autorizzandolo ad avvalersi, se necessario, degli ufficiali giudiziari per accedere al luogo di lavoro.




Tribunale di Bologna > Processo
Data: 08/10/2006
Giudice: Dallacasa
Tipo Provvedimento: Ordinanza
Numero Provvedimento:
Parti: Lidia L. / S. O.
INOTTEMPERANZA AD ORDINE DI REINTEGRA NEL POSTO DI LAVORO – RICORSO AL GIUDICE PERCHÈ NE DETERMINI L’ATTUAZIONE – AMMISSIBILITÀ E LIMITI.


Art. 669 duodecies cod. proc. civ.

A seguito di un ordinanza di reintegrazione nel posto di lavoro emessa dal Tribunale di Bologna all’esito di un procedimento d’urgenza, la società datrice provvedeva esclusivamente all’iscrizione nei libri matricola del lavoratore, nonché al pagamento della retribuzione e dei contributi, ma non alla sua effettiva reintegra. Conseguentemente il dipendente ricorreva nuovamente al Giudice affinché provvedesse a determinare le modalità di attuazione dell’esecuzione in forma specifica del provvedimento cautelare. Il Tribunale, dopo aver dato atto che sulla fungibilità dell’ordine di reintegra esiste un’opinione prevalente negativa, osserva che ciò che è veramente fungibile è l’atto di organizzazione dell’impresa con cui al lavoratore vengono assegnate le mansioni da svolgere, e quelli successivi con i quali egli viene diretto dal datore nello svolgimento dell’impresa: tali atti possono essere compiuti solo dall’imprenditore, che non può essere sostituito coattivamente da un terzo in quanto questi, ingerendosi nell’impresa, non ne sopporterebbe il rischio. Ciò che può invece essere coattivamente attuato è l’ingresso del lavoratore nell’azienda, che è un diritto del lavoratore, prodromico alla prestazione del lavoro, e che quindi può essere inteso come atto iniziale di attuazione dell’ordine di reintegra: la sua presenza costituisce un mero pati e da ciò deriva la sua eseguibilità coattiva. Una volta inserito fisicamente nel luogo di lavoro egli dovrà conformarsi alle prescrizioni dettate dal datore di lavoro; d’altro canto, ove la sua presenza fosse volutamente ignorata, si applicheranno i principi generali del neminem laedere analogamente a quanto avviene con qualsiasi dipendente.

Ciò premesso, il Giudice ordina alla società datrice di consentire al lavoratore l’ingresso nel luogo di lavoro ove prestava servizio prima del licenziamento e di dare esecuzione al provvedimento di reintegra nelle forme di legge, autorizzandolo ad avvalersi, se necessario, degli ufficiali giudiziari per accedere al luogo di lavoro.




Tribunale di Bologna > Processo
Data: 23/05/2008
Giudice: Liccardo
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 1247/08
Parti: X / Alfa e Beta
Mancato versamento da parte del datore di lavoro (poi fallito) delle quote trattenute ai lavoratori e dovute al fondo integrativo- inadempimento del fondo - azione surrogatoria del lavoratore





Tribunale di Bologna > Processo
Data: 18/11/2008
Giudice: Dallacasa
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: -
Parti: P. E. / STIRERIA SYMBOL Snc di Tammaro Annibale e C.
VIOLAZIONE DEL DIRITTO ALLA TRASFORMAZIONE DEL RAPPORTO DEL RAPPORTO A TEMPO DETERMINATO – VERBALE ACCORDO SINDACALE – DIRITTO ALL’ASSUNZIONE A TEMPO INDETERMINATO





Tribunale di Bologna > Processo
Data: 16/01/2009
Giudice: Candidi Tommasi
Tipo Provvedimento: Ordinanza
Numero Provvedimento:
Parti: Giorgio M. / SASIB SpA
IMPUGNAZIONE DELIBERA DI ESCLUSIONE A SOCIO E DI CONSEGUENTE LICENZIAMENTO - COMPETENZA DEL GIUDICE DEL LAVORO.


Art. 1 L. 142/2001 

Artt. 40, 409 e 413 cpcp       

 

Un socio lavoratore dipendente di cooperativa – con sede in Casal Monferrato (Al) ed unità produttiva anche in Bologna - con delibera del 15.9.08, veniva escluso dalla compagine societaria sul presupposto della sopravvenuta impossibilità a concorrere nel perseguimento dell’oggetto sociale, conseguente ad un lungo periodo di assenza per malattia, peraltro coincidente con il periodo massimo di conservazione del posto di lavoro stabilito dal CCNL per le cooperative sociali.

In uno con la delibera di esclusione, ed in conseguenza della stessa, la cooperativa comunicava anche la risoluzione del rapporto di lavoro del lavoratore.

Il licenziamento veniva impugnato con contestuale richiesta di convocazione delle parti davanti la Commissione di Conciliazione, davanti alla direzione Provinciale del Lavoro di Bologna, per l’esperimento del tentativo obbligatorio ex D. Lgs. 80/98.

Con ricorso d’urgenza davanti al Tribunale Civile ordinario di Bologna veniva altresì richiesto l’accertamento della illegittimità della delibera di esclusione a socio e il conseguente ripristino del rapporto associativo.

Con decreto del 21.11.08, il Tribunale Civile di Bologna fissava l’udienza di comparizione delle parti, rilevando che - inerendo la controversia nella sostanza al rapporto di lavoro - la sede propria per l’esame della stessa risultava essere quella già adita con la richiesta formulata alla Direzione Provinciale del Lavoro di Bologna.

Si costituiva in udienza la Cooperativa convenuta eccependo, innanzi tutto, l’incompetenza territoriale del Tribunale adito, contestando altresì tutte le prospettazioni della difesa del ricorrente.

Il Giudice concedeva termine alla difesa del ricorrente per replicare ai rilievi sollevati con il provvedimento di fissazione dell’udienza, oltre che su tutti quelli formulati da controparte con la memoria di costituzione.

Nelle note di replica la difesa del lavoratore ribadiva che la scelta di proporre ricorso per l’accertamento della illegittimità della delibera di esclusione da socio davanti al Tribunale civile ordinario, era dettata dalla mera necessità di non esporre il lavoratore ad eventuali decadenze di legge, nella consapevolezza che già lo stesso Tribunale si era espresso – in una fattispecie del tutto analoga – ritenendo la competenza del Giudice del Lavoro.La difesa del lavoratore rinviava ad un precedente decreto del 29.12.2004 della Sezione Fallimentare del Tribunale di Bologna (Est. Fiorini) ed ancora alla sentenza 850/2005 della Corte di Cassazione, l’unica intervenuta successivamente alla novella della legge 30/03. Si rilevava infine che dalla individuazione della competenza funzionale a conoscere della controversia in capo al Giudice del Lavoro non poteva che discendere il superamento – ai sensi dell’art. 413, 2° c.p.c. - dell’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla società convenuta.

Il Giudice con provvedimento del 16.1.2009, a scioglimento della riserva, precisava che:

a)      alla luce della giurisprudenza di merito e di legittimità richiamata nelle note della difesa del ricorrente, il giudizio di merito inerente al procedimento cautelare sottoposto all’esame del Tribunale appariva di competenza del Giudice del Lavoro e che, ai sensi dell’art. 413 c.p.c. doveva ritenersi quello di Bologna;

b)      la distinzione tra Giudice ordinario e Giudice del Lavoro, nell’ambito dello stesso ufficio giudiziario, riguarda la diversità del rito con cui la controversia deve essere trattata  e che essa è risolvibile ai sensi degli artt. 426 e 427 c.pc. e di distribuzione delle controversie all’interno dell’ufficio medesimo.

Il procedimento cautelare veniva quindi trasmesso al Presidente del Tribunale per la rassegnazione al Giudice del Lavoro.




Tribunale di Bologna > Processo
Data: 11/11/2010
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 422/2010
Parti: Alessandra B. – SERENISSIMA RISTORAZIONE Spa
MANCATA INDICAZIONE DEL CCNL APPLICABILE: NULLITA’ DEL RICORSO: INSUSSISTENZA - INESISTENZA DI UN PROGETTO E COMUNQUE MANCATA ESECUZIONE DELLO STESSO: CONVERSIONE DEL RAPPORTO IN ORDINARIO RAPPORTO SUBORDINATO. - NULLITA’ DEL TERMINE APPOSTO AL CONTRATTO


Art. 1 D. Lgs. 368/ 2001

Art. 69 D. Lgs. 276/2003

 

Con ricorso ex art. 414 c.p.c. la signora Alessandra B. esponeva a) di aver stipulato con la Serenissima Ristorazione Spa due contratti a progetto, il primo dal 26.4.2004 al 31.12.2004 e il secondo dal 1.1.2005 al 30.6.2005, per il quale era stato previsto un compenso mensile di Euro 1.761,00; b) di aver quindi stipulato con la stessa società un nuovo contratto, in questa occasione a termine e con decorrenza dal 1.7.2005 al 31.12.2005, per il quale invece era stata previsto una mensile di Euro 1.413,31; c) di aver sempre effettuato – a dispetto dei formali inquadramenti dei rapporti che si erano succeduti con la società datrice – ordinaria attività impiegatizia e contabile di tipo subordinato relativa alla gestione amministrativa dei bar e delle mense della Serenissima presenti su Bologna, svolgendo la propria prestazione di lavoro senza alcuna correlazione con progetti specifici, programmi o esigenze temporanee; d) di aver sempre svolto la medesima attività, con le medesime modalità operative, essendo assegnata alle medesime mansioni e con il medesimo inquadramento. 

La lavoratrice conveniva pertanto la Serenissima per chiedere: che venisse riconosciuta la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato dal 26.4.2004 al 31.12.2005, la nullità del termine apposto al contratto con decorrenza 1.7.2005 con la conseguente riammissione in servizio come impiegata di 4° livello del CCNL applicato dalla convenuta e assegnazione alle mansioni precedentemente svolte; la condanna della società al risarcimento del danno commisurato alle mensilità perdute dalla cessazione del contratto a termine fino alla data dell’effettivo ripristino del rapporto di lavoro;  il pagamento delle differenze retributive tra quanto percepito e quanto di diritto. In subordine, e rispetto alla richiesta di riammissione in servizio, la lavoratrice chiedeva la condanna della convenuta al pagamento della indennità sostitutiva del preavviso.

Costituendosi la convenuta Serenissima Ristorazione Spa chiedeva, in via preliminare, che venisse dichiarata la nullità del ricorso per omessa indicazione del CCNL applicato e applicabile. All’esito dell’istruttoria il Tribunale decideva la causa, rilevando, in primis, l’infondatezza della eccezione di nullità del ricorso per mancata indicazione da parte della ricorrente del contratto collettivo, ribadendo che la nullità del ricorso ex art. 414 c.p.c. poteva derivarsi solo dalla omissione o dalla totale incertezza del petitum, sotto il profilo sostanziale e processuale, nel senso che non ne sia possibile l’individuazione, attraverso l’esame complessivo dell’atto, rinviando sul punto alla consolidata giurisprudenza della Suprema Corte (ex multis, Cass. 8839/02, Cass. 4889/02, Cass. 4296/98).

Il Giudice precisa che la eventuale mancata indicazione del contratto collettivo nel ricorso introduttivo di una causa di lavoro - con il quale, sulla base della asserita prestazione di lavoro subordinato, fossero stati chiesti conguagli retributivi - non avrebbe potuto incidere sulla determinazione dell'oggetto della domanda e non comporta quindi la nullità del ricorso. (Cfr. Cass., Sez. un., n. 3105/85; Cass. 818/89 n. 818; Cass. n. 4889/02).

Il Tribunale  evidenzia che la società convenuta non aveva neppure prospettato quale incidenza aveva avuto sull'esercizio del suo diritto di difesa la mancata indicazione del contratto collettivo applicabile, considerando peraltro che la società convenuta aveva ampiamente argomentato su tutte le questioni poste dalla ricorrente, così compiutamente esercitando il suo diritto di difesa: di qui l’impossibilità di dichiarare la nullità del ricorso introduttivo essendosi ritualmente instauratosi il contraddittorio, in senso formale e sostanziale, e, cioè, avendo raggiunto il detto ricorso lo scopo cui era preordinato.

Quanto alle questioni di merito, il Giudice dichiara la nullità dell'apposizione del termine al contratto stipulato in data 1 luglio 2005, in quanto privo delle indicazioni di cui all'art. 1, comma 1, del d. legs. n. 368 del 2001. In particolare, il Tribunale evidenzia che l’introduzione della c.d. causale generale o causale aperta da parte della citata norma, rappresentando una radicale innovazione rispetto alla disciplina previdente e valorizzando la volontà delle parti contraenti nella concreta identificazione, volta per volta, di una di tali ragioni giustificanti l'apposizione del termine – impone tuttavia la espressa specificazione delle stesse, come da consolidata dottrina e giurisprudenza (cfr., tra le tante, Trib. Milano, 21 giugno 2002, Trib. Roma, 3 febbraio 2005; Trb. Genova, 16 settembre 2005; Trib. Firenze 5 febbraio 2004; App. Milano, 9 dicembre 2003).

Il Giudice rappresenta inoltre la necessità che tale specificazione sia precisa e puntuale, correlata al caso concreto, senza la possibilità di utilizzare clausole di stile o generiche o consistenti nella semplice ripetizione del dettato normativo, in quanto la specificazione dei motivi “è strettamente dipendente al venire meno di una preventiva - a livello legislativo o di contrattazione collettiva - determinazione dei casi in cui era possibile apporre il termine al contratto di lavoro…..” e ciò “… in funzione di quella che risulta essere l'ulteriore ratio di tutela della norma: quella, cioè, di garantire il controllo del lavoratore circa la effettiva esistenza della ragione giustificatrice del termine e quella di garantire il successivo, eventuale controllo giudiziale, con delimitazione del perimetro di tale valutazione”.

Sul punto il Tribunale rinvia alla giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. Cass. n. 1576-1577/10, n. 2279/10, n. 10175/10 e n. 10033/10), che ha posto in relazione tale obbligo di specificazione non solo con un principio di effettività, ma anche con la c.d. clausola di non regresso della Direttiva Europea, poiché “una interpretazione dell'obbligo di specificazione tale da non consentire il predetto controllo di effettività delle esistenza delle ragioni giustificatrici della apposizione del termine risulterebbe essere in contrasto con tale clausola di non regresso perché rappresenterebbe un non giustificato arretramento in rapporto al livello generale di tutela applicabile in Italia e finirebbe anche con il rappresentare un eccesso di delega rispetto alla legge n. 422 del